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Ogm, la lieta novella che sa di rifrittura

Polemiche Secondo uno studio molto reclamizzato condotto dall’Università di Pisa, il mais transgenico di Monsanto non sarebbe dannoso per la salute

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 1 marzo 2018

Si può ritenere concluso il dibattito sugli Ogm? Così sembrerebbe dopo lo studio di alcuni ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa, che hanno concluso che «la coltivazione di mais transgenico non comporta rischi per la salute umana, animale e ambientale». Lo studio è consistito in una meta-analisi (analisi di altre analisi) di dati pubblicati su «riviste di alto valore scientifico» che riguardano il mais transgenico. Si dice ancora che lo studio ha analizzato 11.699 dati riferiti a un arco di tempo di 21 anni. Lo studio è stato presentato dai mass-media con toni entusiastici, come la «lieta novella» attesa dal mondo. Dunque: «E adesso cosa avete da dire voi che combattete gli Ogm?».

E ALLORA ENTRIAMO nel merito. Dai dati forniti emerge che gli studi presi in considerazione provengono per il 75% dagli Stati Uniti e solo il 6% da Brasile e Argentina. Esiste una sproporzione enorme tra le superfici coltivate e le quantità prodotte di mais transgenico nei due paesi del Sud America, rispetto alle ricerche e agli studi disponibili. La stessa cosa vale per il Canada e i paesi europei, dove sono presenti pochi studi. Sono gli Stati Uniti a sfornarne una grande quantità. Ma molti di questi studi, nel paese della Monsanto, hanno un solo scopo: dimostrare che gli Ogm hanno rese più elevate e che non rappresentano pericoli per i consumatori. L’affare «Monsanto Papers» ha dimostrato come molte ricerche su Ogm e glifosato siano state condizionate dalla multinazionale. E’ emerso che l’Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente (EPA) ha coperto per anni la Monsanto sugli effetti del glifosato. La pressione che la multinazionale ha esercitato sulla comunità scientifica, lo stanziamento massiccio di fondi per finanziare ricerche favorevoli alla sua attività, pongono seri dubbi sulla credibilità di questi studi. Persino l’Autorità per la Sicurezza Alimentare Europea (EFSA) è rimasta coinvolta, con l’imputazione di aver copiato dai documenti della Monsanto la relazione per la Commissione Europea in cui si sosteneva che il glifosato non è pericoloso.

UN’ALTRA QUESTIONE DA AFFRONTARE è la biodiversità. Quattro multinazionali controllano il mercato delle sementi e il 70% dei semi commercializzati passa dalle loro mani. Sono semi che hanno una elevata uniformità genetica. Nel mondo si coltivano centinaia di varietà di mais, ma le multinazionali cercano di imporre le poche varietà che producono su larga scala. L’uniformità delle coltivazioni è uno svantaggio biologico e espone le piante alle malattie in misura maggiore, perché si riducono i meccanismi di difesa contro i parassiti. In una epoca in cui i cambiamenti climatici incidono sulle produzioni, è necessario avere un numero elevato di varietà per ciascuna specie, allo scopo di individuare le varietà da coltivare nelle diverse condizioni di clima e suolo. Le varietà di mais transgenico non solo non hanno le caratteristiche necessarie per far fronte ai cambiamenti climatici, ma producono alterazioni della biodiversità. Come si fa a dire che non vi sono rischi per l’ambiente? Le conoscenze che abbiamo nel campo della genetica e lo studio degli ecosistemi devono servire a farci comprendere il comportamento di piante, animali e microrganismi di fronte ai cambiamenti climatici, per difendere la biodiversità. Lo studio dei ricercatori pisani non si pone il problema.

UN’ALTRA QUESTIONE RIGUARDA la produttività. Dallo studio emerge che la resa per ettaro del mais transgenico è superiore di almeno il 5% rispetto alle varietà tradizionali e che, in alcuni casi, sono superiori del 25%. Le colture Ogm si sono sempre poste come obiettivo principale la resa per ettaro, senza alcun riguardo per le conseguenze che questo modello produttivo determina. Negli Usa e in Brasile ci sono imprenditori agricoli, sostenuti dalla Monsanto, che individuano superfici limitate, con condizioni favorevoli per clima, terreno, disponibilità di acqua e su tali superfici scatenano tutto l’armamentario disponibile (semi con 4 variazioni genetiche, modernissime attrezzature e pesticidi a tutto spiano) per ottenere record di produzioni, da esibire a convegni e nelle «giornate dell’orgoglio Ogm». Ma se si analizzano le rese medie per ettaro, come rilevano alcuni studi condotti seriamente, si vede che questa differenza di produttività tra mais transgenici e mais tradizionali non esiste.

A INCIDERE SULLE PRODUTTIVITA’ SONO le tecniche di coltivazione, piuttosto che l’uso di Ogm: preparazione del terreno, tipo di semina, irrigazione, controllo dei parassiti, rotazione delle colture. In pianura Padana varietà di mais ibrido raggiungono rese che non hanno niente da invidiare ai mais transgenici del Mato Grosso (Brasile). Numerosi ricercatori (non quelli di Pisa) si sono posti il problema di quali alterazioni subisce il terreno coltivato a mais transgenico, quali sono le conseguenze per la comunità microbica, quali variazioni subiscono le sostanze organiche. Il mais gm modifica l’ecosistema del suolo, altera l’ambiente microbico, riduce la fertilità, costringendo gli agricoltori a usare più fertilizzanti sintetici.

Un’altra questione riguarda la lotta agli insetti e alle erbe infestanti. Nei mais gm sono stati inseriti diversi tipi di geni provenienti da microrganismi. Il mais Bt contiene un gene, proveniente da un batterio,in grado di produrre nei tessuti della pianta una tossina che distrugge gli insetti che la attaccano, come la Piralide. Lo studio dei ricercatori pisani afferma che «sugli insetti non dannosi non si sono visti effetti significativi, ad eccezione della Braconide». Ma i Braconidi sono imenotteri parassiti, predatori naturali di altri insetti dannosi, svolgono un ruolo ausiliario nella lotta biologica. Il punto è questo: il mais Bt va a interferire nell’equilibrio fra le diverse specie di insetti, danneggia insetti utili, determina forme di resistenza alle tossine prodotte dal gene, col potenziamento di alcune specie che poi difficili da controllare. La Germania, dal 2009, ha vietato l’uso del mais Bt a causa dei danni causati alle Coccinelle, che non sono parassiti del mais. Nei mais gm è anche presente un gene proveniente da un batterio che conferisce alla pianta una resistenza agli erbicidi che contengono glifosato. Il diserbante agisce su tutte le piante presenti sul terreno, ad eccezione del mais modificato.

RITENUTO CANCEROGENO DALLA MAGGIOR parte della comunità scientifica, il glifosato sta producendo disastri in tutto il mondo. Sono gli Ogm ad avere determinato questo uso massiccio dell’erbicida. In uno studio condotto in Brasile su mais e soia modificati, è emerso che gli agricoltori che hanno usato il glifosato sono costretti ad affrontare la resistenza delle erbe infestanti, impiegando dosi elevate di altri diserbanti. Altra questione aperta: la contaminazione che gli Ogm possono produrre su altre specie. Il mais gm è la pianta in cui è stato inserito il maggior numero di tratti geneticamente modificati, con la conseguenza di avere un Dna poco stabile, con una maggiore possibilità di rotture e ricombinazioni geniche. Si determina, così, una condizione favorevole al passaggio di sequenze di Dna in virus, batteri, funghi e attraverso di essi insediarsi in altri organismi. Un processo di contaminazione tra specie impossibile da controllare. Come si fa a dire non è un pericolo per l’uomo e l’ambiente?

E c’è dell’altro: il monopolio dei semi, con una agricoltura sottoposta al controllo di poche multinazionali molto potenti, gli effetti devastanti che il modello produttivo della monocoltura Ogm ha sulle comunità rurali dei paesi in via di sviluppo, con distruzione delle forme di agricoltura familiare e disgregazione sociale.

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