Dal Cairo un Luigi Di Maio più che mai pressato dall’invadenza leghista ingaggia uno scontro su due fronti: contro l’Europa a fianco del Carroccio, con toni più estremi persino di quelli usati da Matteo Salvini, ma anche contro la Lega, sul fronte della legge sulle «pensioni d’oro», bersagliata dal consigliere economico numero uno del medesimo Salvini, Alberto Brambilla.

A dar fuoco alle polveri del nuovo scontro con Bruxelles era stato in realtà il commissario europeo al Bilancio Oettiger, noto per la maniere ruvide, uno dei duri della Commissione. Non pagare i contributi alla Ue «nei tempi stabiliti», attacca, «sarebbe una violazione dei trattati che comporterebbe penalità». Anche più pesante e minaccioso il prosieguo: «L’Italia ha conquistato il nostro appoggio nell’affrontare la crisi migratoria. Posso solo mettere in guardia Roma dal mischiarla con il bilancio Ue». La replica dal Cairo è altrettanto bellicosa: «Sono considerazioni ancora più ipocrite perché non li avevamo sentiti sulla Diciotti e si fanno sentire ora solo perché hanno capito che non gli diamo più un euro. La nostra posizione sul veto al bilancio resta».

Il vicepremier in realtà fa un bel po’ di confusione, probabilmente a bella posta. Il veto al bilancio non sarebbe in sé un problema enorme o almeno non subito. Rientra nel diritto di tutti gli Stati membri e in ogni caso la definizione del bilancio per gli anni 2020- 2027 è una storia lunga, con tutto il tempo di ammorbidire le posizioni. Il mancato pagamento del contributo annuale, invece, sarebbe un casus belli da manuale e innescherebbe una spirale dagli esiti imprevedibili. Il Carroccio, che tra le forze di governo è la più pragmatica, immagina di usare l’eventuale contenzioso come arma nella trattativa sulla legge di bilancio e certamente la stessa tattica ha in mente Di Maio. Non è affatto detto però che la commissione sia dello stesso parere e non consideri quella mossa invece che «negoziale», come la definiscono gli stessi leghisti, un atto di guerra.

Di Maio, peraltro, non può a questo punto tornare indietro sull’esigenza imprescindibile di strappare a Bruxelles, e prima ancora al ministro Tria, l’inserimento nella legge di bilancio di misure tali da consentire a M5S di recuperare il terreno perduto nella gara interna alla maggioranza. Per questo ieri ha ripetuto di non temere un’impennata dello spread, che è invece l’incubo sia del Mef che del Colle, dal momento che sarebbe dovuta solo a motivi politici e non alla fragilità economica italiana. Dissertazione propedeutica alla conferma di voler procedere subito «con le riforme con cui accompagneremo la legge di bilancio: la road map per far crescere l’economia».

Il leader politico dei 5S, però, può permettersi ancor meno di darla vinta alla Lega sulle pensioni d’oro. La replica a Brambilla, che aveva smantellato la legge presentata alla Camera dai due capigruppo di maggioranza suggerendo di sostituirla con un contributo straordinario di solidarietà triennale, è stizzita e tassativa: «Non ci rimangeremo questa promessa. Se qualcuno dice che non si può attuare il contratto di governo lo dica subito». Può stare tranquillo: non lo dice nessuno. Gli appunti tecnici di Brambilla sono in realtà sensati e in una dimensione politica in cui la propaganda e l’immagine non facessero premio su tutto verrebbero almeno presi in considerazione. Ma non è il caso della politica italiana e se Di Maio deve difendere la sua legge-spot Salvini, dal canto suo, non ha alcuna intenzione di tradire un accordo grazie al quale sta guadagnando parecchio in termini di consenso.

Borghi, presidente leghista della commissione Bilancio della Camera, aziona quindi gli estintori di volata: «Non mi risulta che ci sia nessuno contrario al taglio delle pensioni superiori ai 5mila euro come nel contratto di governo. Brambilla è un esperto che ascoltiamo con piacere ma non ha alcun ruolo nella Lega e al governo: sulle pensioni d’oro non c’è alcuna polemica con M5S».

La minaccia per il governo, in effetti, non è la rottura tra i partiti di maggioranza ma quella tra gli stessi partiti e i ministri tecnici, Giovanni Tria e Enzo Moavero, se Bruxelles sceglierà di adottare la linea dura. O se la speculazione si muoverà davvero.