Odisseo Nausicaa Arianna, o l’altra faccia del mito
Cultura classica Con felice vena narrativa e intuito filologico Maria Grazia Ciani rivisita il mondo greco incrociando le fonti antiche meno battute con le riletture moderne, da Simone Weil al graphic novel: Le porte del mito, Marsilio
Cultura classica Con felice vena narrativa e intuito filologico Maria Grazia Ciani rivisita il mondo greco incrociando le fonti antiche meno battute con le riletture moderne, da Simone Weil al graphic novel: Le porte del mito, Marsilio
«Ehilà! Signor Nessuno! Signor Senzanome! Signor Maestro d’Inganni! Signor Manolesta, nipote di ladri e bugiardi!», esclama un coro di ragazze rivolgendosi al suo carnefice. Sono dodici schiave senza nome, colpevoli di essersi concesse a uomini da cui avrebbero dovuto stare lontane o, forse, innocenti vittime del loro abuso. Ma non è importante, perché non sono più in vita, è dal mondo dei morti che levano la loro voce contro l’uomo spietato che le ha fatte impiccare.
Di chi si tratta? Di Odisseo, o Ulisse per dirla alla latina. Quando? Al tempo del suo ritorno a casa e della celebre vendetta ordita – insieme al figlio Telemaco – contro i pretendenti di Penelope e contro le giovani e belle ancelle della reggia di Itaca. Un atto crudele, da vero fuorilegge perché i Proci, in fondo, non avevano commesso alcun omicidio – solo questo nel diritto arcaico ne avrebbe giustificato l’uccisione – e quanto alle serve, nella loro posizione, avrebbero forse potuto sottrarsi a quelle avances? Ulisse, sì, ma non lo stesso della versione canonizzata dell’epos omerico, piuttosto quello immaginato da Margaret Atwood nel romanzo Il canto di Penelope, in cui il reduce dalla guerra di Troia passa in secondo piano: sovrastato dalla denuncia delle ancelle, irriverenti ma incolpevoli, e dalla versione dei fatti che racconta una Penelope tutt’altro che fedele; piegato a un copione che inverte il punto di vista e restituisce la parola a chi non l’aveva nell’antico poema; un Ulisse che incarna il modo in cui la violenza maschile può prevaricare la sfera del femminile.
Non che la prospettiva della Atwood sia l’unica a gettare questo tipo di sguardo sul personaggio greco. In realtà sono gli stessi autori antichi a suggerire l’idea che Ulisse sia un uomo con molte ombre, quando non proprio un anti-eroe. Già i versi dell’Odissea e quelli dei tragediografi gli attribuivano i tratti equivoci dell’avidità e della bugiarderia – secondo alcuni li aveva ereditati dal nonno materno Autolico –, ma è soprattutto uno l’evento destinato a immortalare «l’altra faccia» di Ulisse, vale a dire quello che lo vede sbarazzarsi senza alcuno scrupolo dell’eroe Palamede.
Le cose andarono probabilmente così: Palamede decise di assoldare Ulisse tra le schiere dei guerrieri che avrebbero combattuto a Troia, ma questi non voleva partire e simulò uno stato di follia; per smascherarlo, Palamede finse di voler uccidere il piccolo Telemaco e costrinse Ulisse a intervenire e a rivelare la propria presenza di spirito, per poi arruolarlo; in seguito, a Troia, Ulisse fece in modo che Palamede passasse per un traditore, per vendicarsi di lui, decretandone la condanna a morte. Le informazioni di tutta la storia – di cui si tace nella tradizione epica – provengono da alcuni frammenti di Sofocle e di Euripide, dal sofista Gorgia, dai mitografi Pseudo-Apollodoro e Igino, da Ovidio e dalla testimonianza tarda dello scrittore Filostrato, che nell’Eroico non esita a contrapporre all’uomo dissimulatore, maligno e per niente degno di ammirazione (Ulisse, appunto), un rivale sapiente e animato dalle più nobili virtù.
Eppure, non è certo con l’eroe integerrimo e gentile, non è con Palamede che da esseri umani possiamo stabilire un senso di identificazione, ma con Ulisse, con i suoi impulsi violenti e con il suo sapersi rimettere sempre in gioco. «Odiosamato Odisseo», «Che cosa vedremmo se si voltasse? Uno dei mille volti o il riflesso di noi stessi?», si chiede Maria Grazia Ciani (Le porte del mito Il mondo greco come un romanzo, Marsilio «Biblioteca», pp. 138, € 15,00) mentre ci conduce per gli andirivieni di questo e di altri miti, attraverso una raccolta di brevi saggi che investono varianti inesplorate e tematiche eterogenee – come la questione della traducibilità del greco antico, le similitudini omeriche, il «prototipo» della cartella clinica – con il rigore che contraddistingue la sua ben nota attività di filologa e traduttrice, ma anche con straordinaria capacità affabulatoria.
La studiosa procede avvalendosi non solo degli strumenti del mestiere, ma di molti altri tasselli del suo vissuto intellettuale e convoca molteplici punti di vista, da quello di Virginia Woolf a Sàndor Màrai, da Immanuel Kant a Simone Weil, Wislawa Szymborska e Mimmo Jodice. Nel farlo, si affida a una citazione posta in esergo al volume che recita «La conoscenza può mostrarsi utile, / però è anche divertente fare ipotesi / piuttosto che sapere». Questi versi di un grande poeta del Novecento, W. H. Auden, sono come un apriti sesamo che spalanca le porte del libro a una riflessione di fondo: ogni quesito dischiude una foresta di possibilità e di risposte aperte.
Di certo, il lettore di questa raccolta di saggi dall’andatura narrativa si sorprenderà a scoprire quali sono le alternative offerte dalle fonti antiche meno battute: un’Arianna che guida Teseo nel labirinto non con un filo ma con una corona rilucente d’oro e di pietre preziose, un Achille ormai morto che scambierebbe volentieri la sua gloria con la più miserabile delle esistenze… È impossibile ridurre il mito a una lettura univoca, al punto che possiamo leggere l’Odissea – poema scevro da qualsiasi deriva ‘romantica’ – come il primo testo della letteratura occidentale che prospetti un legame d’amore ideale: presenza del tutto allusiva, certo, ma non così sommersa da impedire il suo riaffiorare in forma esplicita nelle successive ricezioni dell’opera. Quello delle riscritture mitologiche è un campo che Ciani ha recentemente scandagliato da scrittrice, oltre che da grecista, facendoci immaginare con delicato lirismo i pensieri più reconditi di Penelope (La morte di Penelope, Marsilio 2019).
In quale variazione sul mito ci trascinerà in questo caso la studiosa? Ulisse e Nausicaa, ovvero lo straniero e la principessa. Lui è un naufrago, che si fa cantore di incredibili peripezie (le proprie, con i Ciclopi, Circe, le Sirene e così via); lei è una giovane che si accende per la prima volta di turbamento e di desiderio. Lo straniero è pronto a sfidare di nuovo la morte e non per i pericoli dell’ignoto, ma per un bacio della figlia del re, quindi riparte. La ragazza affronta il mare e un destino sconosciuto, pur di seguirlo. A questo punto, però, siamo in un’altra Odissea: quella narrata dal graphic novel di Bepi Vigna e Andrea Serio Nausicaa. L’altra Odissea (Kleiner Flug 2018) con almeno due colpi di scena. Nausicaa incontra Penelope, che rinnega l’eroicità del marito e ne addita «i vizi, gli inganni, le falsità». Infine, la principessa ritrova il suo amore in un angolo sperduto di mondo, ma non si tratta di Ulisse in persona: adesso è un vecchio cantastorie cieco, che si fa chiamare Omero e che per un soldo è pronto a ricominciare, ovvero a raccontare avventure inimmaginabili. Che si tratti di verità o menzogne poco importa.
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