Dal caos degli ultimi mesi emerge un nuovo consiglio di amministrazione di Ita a tempo – solo sei mesi di mandato, giusto il tempo di privatizzare – inaspettato e fin troppo diversificato ma ricco di familismo di destra.

Dal G20 di Bali dove si trovava con la premier Giorgia Meloni, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha nominato quattro nuovi consiglieri che sono andati a sostituire il dimissionario Alfredo Altavilla – ieri il Mef ha risposto alla sua minaccia di causa contro la rimozione con l’annuncio di «azioni legali» nei suoi confronti – e i sei consiglieri di nomina del Mef che si sono dimessi ad aprile proprio per cacciarlo.
LA NOMINA DEL PRESIDENTE è tutta di Giorgetti. La scelta è caduta su un classico boiardo di stato, naturalmente in salsa leghista. Si tratta di Antonino Turicchi, già dal 1994 funzionario del ministero del Tesoro, dal 2002 al 2009 direttore generale di Cassa depositi e prestiti con poi un lunghissimo elenco di incarichi nei cda delle partecipate (Autostrade, Leonardo) fino all’attuale incarico di ad di Fintenca. Come Altavilla è quasi completamente digiuno di trasporto aereo se si esclude la parentesi nel cda di Alitalia Cai ai tempi dei «capitani coraggiosi» di Berlusconi.

Tra i suoi incarichi anche quello dal 2009 al ’11 come Direttore esecutivo del Comune di Roma sotto il sindaco Alemanno.
E INDOVINATE CHI HA SCELTO di nominare il governo Meloni nel nuovo cda di Ita? Gabriella Alemanno, sorella di Gianni, che oltre a qualche indagine giudiziaria conta solo una modesta carriera all’Agenzia delle entrate. A testimonianza che «tenere famiglia» – nonostante la separazione con Isabella Rauti – ai tempi del governo Meloni è molto importante.
Turicchi comunque manterrà gran parte delle deleghe di Altavilla (tranne il personale), prima fra tutte quella sulla privatizzazione. E dunque è l’uomo forte del nuovo Cda.

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OLTRE AL CONFERMATO ad Fabio Lazzerini, a completare il cda – che Giorgetti voleva a tre ma che per rispettare le quote rosa è a cinque – ci sono due indubbie competenze nel settore del trasporto aereo: Frances Ousley, per otto anni a capo di EasyJet Italia e Ugo Arrigo, professore alla Bicocca esperto di Trasporto aereo che i lettori del manifesto conoscono per varie interviste proprio su Ita. Fu lui a denunciare come la nascita di «compagnia nana» – quando invece investendo durante lo tsunami del Covid avrebbe potuto rinascere un vero gigante – presagisse alla vendita a Lufthansa che avrebbe usato Ita come compagnia regionale per riempire gli hub tedeschi per i più remunerativi voli a lungo raggio.

ORA ARRIGO – A BUOI QUASI scappati – si spera potrà quanto meno evitare una svendita e garantire livelli occupazionali decenti, diversi dai soli 3.750 riassunti da Alitalia fra piloti, assistenti di volo, personale di terra e amministrativi con oltre 5 mila esuberi ancora in mezzo alla strada.

Il mandato del nuovo Cda che scadrà (tutto) a maggio 2023 è la privatizzazione. Dopo lo stop di Giorgetti alla trattativa in esclusiva con Certares, appare scontato che sarà la cordata Msc-Lufthansa (scavalcata a sorpresa per decisione di Draghi e Franco) a comprare la maggioranza di Ita. Non tutti però la pensano così: le offerte per Ita finora pervenute sono tutte così basse da far ipotizzare che vengano fatte solo per evitare che se la prendano (a quasi zero) i concorrenti.

IL VERO PUNTO INTERROGATIVO è infatti la reale volontà di Giorgia Meloni (e di Fratelli d’Italia): è chiaro che non si fida di Giorgetti ma vuole veramente una «compagnia di bandiera italiana»?

Nel frattempo la situazione finanziaria lasciata da Altavilla è molto preoccupante. Nonostante le roboanti dichiarazioni sul successo di Ita, senza il nuovo aumento di capitale da 400 milioni l’azienda rischiava il fallimento. L’advisor Kpmg ha messo nero su bianco come «nell’ultimo semestre il risultato netto in perdita è di 271,9 milioni».

Ieri intanto Lazzerini, forte della nuova delega, ha incontrato i sindacati. A Filt Cgil, Fit Cisl e Uilt che avevano contestato i salari da fame, l’ad ha annunciato l’apertura della trattativa per il rinnovo del contratto e la fine del periodo da start up. «Assunzioni, recupero dei lavoratori dalla cassa integrazione, implementazione del piano industriale e da subito aumento dei salari che non sono più adeguati», chiede il segretario nazionale della Filt Cgil Fabrizio Cuscito. Difficile però credere che tutte queste cose possa garantirle un ad in scadenza fra sei mesi a capo di un Cda così complesso.