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Nuovi raid di Israele, Nur Shams assediato

Nuovi raid di Israele, Nur Shams assediatoTulkarem, campo di Nur Shams – Ap

Cisgiordania Ucciso nel campo profughi alle porte di Tulkarem il giovane capo locale della Brigata Tulkarem, Abu Shaja, eroe per i palestinesi ma terrorista per Tel Aviv

Pubblicato circa un mese faEdizione del 30 agosto 2024

Non c’è vita all’ingresso orientale del campo profughi di Nur Shams, alle porte di Tulkarem. Nemmeno una persona, nemmeno un’auto tra le macerie, i marciapiedi distrutti dal passaggio dei mezzi blindati e l’asfalto divelto dalle ruspe. Ma non regna il silenzio. Davanti a noi, a poche decine di metri di distanza, un soldato israeliano posizionato tra due jeep corazzate ci urla di non avanzare oltre. La sua voce viene coperta dagli spari di armi automatiche e da occasionali boati. «Dobbiamo essere prudenti» ammonisce Tareq che ci accompagna. «Sui tetti ci sono i cecchini e il giubbotto antiproiettile con la scritta ‘Press’ ci aiuta fino a un certo punto», spiega. In ogni caso il passaggio è chiuso, non si passa.

L’ennesima incursione a Nur Shams cominciata martedì notte, nel quadro dell’offensiva israeliana più ampia nella Cisgiordania dal 2002, continua a pieno regime con migliaia di soldati, in gran parte di reparti da combattimento impiegati a Gaza negli ultimi dieci mesi. In 48 ore l’operazione israeliana ha fatto già 17 morti tra Jenin, Nur Shams e Al Faraa. «Abbiamo sentito che durerà settimane e punta a uccidere tra 500 e 1000 uomini della resistenza palestinese», afferma Tareq. Israele non ha fonti particolari. Per i comandi militari è una «campagna antiterrorismo» volta a prevenire attacchi palestinesi in preparazione contro le truppe e i coloni israeliani insediati in Cisgiordania. Ma non hanno fornito prove a sostegno di questa narrazione.

L’operazione si concentra nel centro nord del territorio palestinese, in particolare nei distretti di Tulkarem e Jenin. Poche ore fa a Nur Shams, gli israeliani, guidati da un informatore hanno sorpreso in una moschea e ucciso al termine di uno scontro fuoco Muhammad Jaber, più noto come Abu Shuja, il comandante del Battaglione Tulkarem (Jihad islami), insieme a quattro dei suoi compagni. Abu Shuja, 26 anni, era un mito non solo a Nur Shams, divenuto ancora più grande dopo essere sfuggito lo scorso 19 aprile a un «omicidio mirato»: lo credevano morto e invece due giorni dopo è riapparso illeso durante i funerali dei suoi compagni uccisi da Israele. Nei social ci sono ancora le immagini della folla che lo porta in trionfo.

«Lo avevano arrestato gli israeliani e anche l’Autorità nazionale palestinese» ricorda Abu Taghrid, uno dei pochi negozianti aperti nel vicino villaggio di Anabta. «Abu Shuja è stato un eroe fino all’ultimo, non si è arreso» prosegue «cinque mesi fa gli hanno ucciso un fratello e distrutto la casa dei suoi genitori. Lui non si è piegato, è morto da martire e Dio lo premierà per aver difeso la sua terra». Secondo i media israeliani era il più ricercato dei militanti armati palestinesi e colui «che aveva destabilizzato la Cisgiordania». Di sicuro Abu Shuja ha lavorato al combattimento e all’addestramento dei suoi uomini per migliorare le loro capacità operative. A partire da come attirare in imboscate le truppe israeliane.

Proviamo ad avere notizie da Jenin, dove prosegue con altrettanta intensità e potenza di fuoco il raid israeliano. Ashraf Natur, del comitato popolare di assistenza alla popolazione, ci dice che «gli israeliani continuano ad assediare gli ospedali ‘Ibn Sina’ e quello governativo e circondano il campo profughi della città e quartiere di Sharqi. I cecchini sono ovunque, sui tetti, e sparano senza sosta. I bulldozer hanno distrutto di nuovo le strade del campo profughi. L’ingresso di Jenin è solo un ricordo. L’acqua potabile scarseggia perché la rete idrica è stata danneggiata».

Stando a indiscrezioni, l’Anp di Abu Mazen ha appreso in anticipo del piano di attacco israeliano nelle città della Cisgiordania e avrebbe cercato di sventarlo rivolgendosi ai leader di paesi arabi che hanno buone relazioni con Israele per indurre il premier Netanyahu a un ripensamento. Senza successo. Alla Muqata, il quartier generale dell’Anp a Ramallah, credono in questi giorni di rivedere i mesi sanguinosi vissuti 22 anni fa quando Israele, durante l’operazione «Muraglia di Difesa» voluta dal premier Ariel Sharon, prese di mira in particolare ministeri, uffici e strutture pubbliche palestinesi. Abu Mazen e il suo entourage sanno che un attacco ancora più massiccio di forze israeliane metterebbe ancora di più in difficoltà l’Anp, accusata di passività e di impiegare i suoi agenti di sicurezza «per difendere Israele da eventuali attacchi e non i cittadini palestinesi». Gli analisti esortano a non credere che la campagna militare israeliana sia destinata a sgonfiarsi con il passare dei giorni. Include, dicono, obiettivi e piani del movimento dei coloni, al governo, «e vogliono realizzarli con il pretesto della sicurezza».

Nel campo di Al Faraa i soldati non ci sono più. Sono usciti dopo una incursione durata circa 30 ore. I segni del passaggio dei mezzi blindati e delle ruspe sono ben visibili: gran parte delle strade sono distrutte, diversi edifici sono danneggiati. Più di tutto, le truppe israeliane si lasciate dietro quattro morti, tra cui 2 bambini, e  cinque feriti. «Molte case sono state prese d’assalto (dai soldati)» riferisce Asem Mansour, attivo nei comitati popolari locali, «gli israeliani hanno preso tante cose, altre le hanno distrutte, altre ancora le hanno buttate via. Hanno fatto il bello e cattivo tempo nelle nostre case». Asem Mansour avverte che «queste incursioni hanno causato uno stato di terrore tra le persone, con la detonazione di ordigni, esplosivi e la distruzione sistematica delle rete idrica e di quella dell’elettricità». Ad Al Faraa piangono i due ragazzini e i due giovani armati del campo che sono stati uccisi. «Erano figli di amici, parenti di altri. La loro perdita è immensa non solo per loro famiglie. Purtroppo, a nulla sono serviti gli appelli alla comunità internazionale a proteggere Al Faraa e la sua gente dagli attacchi di coloni e soldati», commenta sconsolato Asem Mansour.

Quello delle violenze dei coloni è un tema sempre di attualità in Cisgiordania. E i palestinesi non credono all’intervento degli Stati uniti che due giorni fa hanno annunciato di aver varato sanzioni contro Yitzhak Levy Filant, coordinatore della sicurezza per l’insediamento israeliano di Yitzhar nella Cisgiordania occupata, accusato di aver guidato un gruppo di coloni armati ad attaccare contadini. Almeno sette palestinesi sarebbero stati uccisi da spari dei coloni nel 2024, l’ultimo qualche giorno fa nei pressi di Betlemme. Il passo di Washington è giunto mentre i comandi dell’Esercito israeliano definivano l’attacco del 15 agosto compiuto da un centinaio di israeliani contro il villaggio palestinese di Jit «il peggior episodio di terrorismo ebraico di sempre». Tareq con poche parole riassume quello che pensano un po’ tutti i palestinesi. «Il problema sono i coloni, le loro violenze, e invece l’esercito israeliano attaccano noi, i nostri villaggi e lasciano i coloni liberi di fare ciò che vogliono», commenta mentre sulla strada principale di Al Faraa passano a tutta velocità tre automezzi blindati israeliani.

 

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