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Nono e Scabia, quella discesa negli altiforni Italsider per un diario operaio

Nono e Scabia, quella discesa negli altiforni Italsider per un diario operaioLuigi Pestalozza, Scabia, Nono e un operaio, Genova, 1964, Archivio L. Nono, Venezia © Martini & Ronchetti, courtesy archivio Lisetta Carmi, Genova

Teatro musicale sperimentale Nel 1964 Luigi Nono e il poeta padovano si immersero nella feroce realtà dell’Italsider a Cornigliano: ne scaturì La fabbrica illuminata, che la Fondazione Giuliano Scabia rievoca nel «quaderno» Nuova Musica Nuovo Teatro

Pubblicato 30 giorni faEdizione del 15 settembre 2024

Luigi Nono e Giuliano Scabia si conobbero sulla scalinata del Teatro La Fenice di Venezia, la sera del 13 aprile 1961. Era appena terminata la tempestosa rappresentazione del primo lavoro di teatro musicale di Nono, Intolleranza 1960, accolto da una gazzarra a base di urla, fischi e volantini organizzata dai neofascisti di Ordine Nuovo. Il critico musicale del Times di Londra, dopo aver lodato il «lavoro nobile ed eloquente» di Nono, osservava: «Lo spirito di Mussolini, così è parso ieri, è tuttora una fonte di vivo imbarazzo per la presente salute dell’Italia».

Questo era il clima nel quale il giovane poeta padovano, fresco di laurea in filosofia morale, iniziò a collaborare con Nono, l’esponente più radicale e intransigente della cosiddetta nuova musica italiana. In quegli anni il compositore veneziano era in ansiosa ricerca di un nuovo teatro musicale, capace di parlare in maniera diversa dall’opera tradizionale a un pubblico non passivo e definito soltanto da criteri estetici, bensì consapevole delle dinamiche sociali, partecipe della lotta di classe e cosciente dei conflitti scatenati dall’imperialismo capitalista su scala globale. Era una grande utopia, però, tradurre il fermento politico e culturale che scuoteva la società italiana del dopoguerra in nuove forme artistiche e teatrali. È noto, per esempio, come Nono fosse rimasto insoddisfatto del libretto di Angelo Maria Ripellino per Intolleranza 1960, tanto che il grande slavista alla fine decise di ritirare la firma dal lavoro lasciando soltanto la dicitura «da un’idea di A. M. Ripellino».

Questa delusione, che Nono cercò di superare con un collage di testi di variegata provenienza, da Brecht a Eluard, Sartre, Majakovskij, oltre ovviamente a quelli di Ripellino, era semplicemente la spia del difficile rapporto tra il «suono organizzato» predicato dai compositori della nuova musica e l’ibrido, sdrucciolevole mondo del teatro, con le sue impurità, i compromessi, gli azzardi poetici. Subito dopo Intolleranza 1960, Nono parte alla caccia di materiali teatrali nuovi, capaci di dar corpo anche a forme musicali generate dal rapporto col testo. Interpella amici scrittori come Emilio Jona, Giovanni Pirelli, Italo Calvino, che si sottrae amabilmente adducendo una carenza di immaginazione teatrale. Nel giovane Scabia, uno dei tanti interlocutori di quella fase di ricerca, Nono intuisce una gioiosa predisposizione a un’invenzione teatrale senza schemi, a una poesia non letteraria ma sporca di vita, a un desiderio di arte sociale aperta al cambiamento.

Per Scabia, invece, l’incontro con Nono significò la scoperta del teatro come una possibile strada verso le forme del presente, dentro una poesia in grado di parlare ai tempi nuovi che la sua generazione sentiva arrivare dopo il terremoto della guerra, che aveva rimescolato suoni, linguaggi, stili. Insieme iniziano a collaborare a una nuova azione scenica che Nono immagina come un teatro di situazioni, ispirato in parte da Sarte ma influenzato anche dal teatro di propaganda di Erwin Piscator, dalla poesia visionaria di Majakovskij. Il progetto è incoraggiato dal Sovrintendente del Teatro alla Scala Antonio Ghiringhelli, e discusso da Nono con il direttore artistico Francesco Siciliani.

Il titolo provvisorio è Un diario italiano, che riprende una parola usata per un lavoro orchestrale del 1959, Diario polacco ’58. L’idea del diario derivava dall’istintiva necessità di trasformare in linguaggio artistico le urgenze umane, politiche delle proprie esperienze personali. Così come il Diario polacco era stato il riflesso dei «violentissimi sconvolgimenti» provocati dal pellegrinaggio al Ghetto di Varsavia e ai campi di Auschwitz e Birkenau, il Diario italiano avrebbe dovuto dar voce alle lotte operaie della Fiat, alle tumultuose e drammatiche emigrazioni interne dal Mezzogiorno verso le grandi città industriali del Nord. Nono comincia a parlarne con Scabia, gli fornisce materiali grezzi su cui lavorare, lo incalza a inventare situazioni poetiche e teatrali. Durante il lavoro al progetto, che alla fine la Scala non avrà il coraggio di realizzare, avvenne la catastrofe del Vajont, e Nono volle da Scabia un coro da inserire in questa sorta di requiem del neocapitalismo italiano.

Tra i materiali preparatòri del Diario italiano c’era anche l’idea di visitare l’Italsider a Genova, per registrare dal vivo i suoni della fabbrica. Grazie all’aiuto di personaggi come il pittore Eugenio Carmi, consulente artistico dell’Italsider e fratello della pianista e fotografa Lisetta, Nono ottenne nel maggio 1964 il permesso di entrare nello stabilimento di Cornigliano con Scabia, che annotava il linguaggio vivo del mondo operaio, e con Marino Zuccheri, ingegnere del suono del leggendario Studio di fonologia della Rai di Milano, per effettuare le riprese audio.

Quella discesa all’inferno nel frastuono degli altiforni, nella concreta realtà dei duri rapporti di lavoro, della schiavitù delle linee di produzione, nella carne viva della fatica e del sudore del lavoro operaio, fu per Nono un’esperienza sconvolgente, che lo indusse a trasformare quel materiale in un lavoro autonomo, La fabbrica illuminata, che in definitiva resta la più importante testimonianza della collaborazione tra Nono e il giovane poeta Scabia, che da quella inaspettata possibilità di creare delle forme modellate sulla vita presente, sulla storia viva, prenderà le mosse per sviluppare la propria idea di un nuovo teatro a partire dal leggendario spettacolo Zip alla Biennale di Venezia del 1965, frutto della collaborazione con personaggi come il regista Carlo Quartucci, Emanuele Luzzati, Tonino Conte, Leo De Berardinis.

Tutto questo, e molto altro, è raccontato in Nuova Musica Nuovo Teatro, primo dei «Quaderni del Teatro Vagante» pubblicati dalla Fondazione Giuliano Scabia, a cura di Andrea Mancini, con una premessa di Sandro Cappelletto (pp. 128, euro 15,00). Tra i numerosi documenti pubblicati nel fascicolo, sono particolarmente interessanti i resti letterari dell’incompiuto lavoro per Un diario italiano e soprattutto le varie stesure della Fabbrica illuminata, seguendo le trasformazioni della forma musicale impresse da Nono: esse rivelano in maniera precoce la bontà del motto di Gombrowicz che ha guidato Scabia nei molteplici sentieri della sua lunga avventura poetica e teatrale, «colui con cui canti, modifica il tuo canto».

 

Oggi al Teatro La Fenice di Venezia
Questo pomeriggio, alle ore 17:00, prima replica del dittico La fabbrica illuminata & Erwartung, di Luigi Nono e di Arnold Schönberg, nel 100° anniversario della nascita del primo e nel 150° della nascita del secondo. Orchestra del Teatro La Fenice, direttore Jérémie Rohrer, regia di Daniele Abbado; soprano: Sarah Maria Sun (La fabbrica illuminata); una donna: Heidi Melton (Erwartung, Attesa). Repliche sino a domenica 22 settembre.

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