Il 17 ottobre 2019, le strade e le piazze del Libano hanno assistito all’inizio di una rivolta sociale senza precedenti, che ha riunito gli “arrabbiati” provenienti da ogni schieramento politico e identitario, contro una classe politica che sembrava desiderosa di distruggere ciò che rimane del Paese.

Più di un milione di persone hanno partecipato alla rivolta, non sulla base di indicazioni politiche, ma in un momento di rabbia spontanea. Sono scesi nelle strade della maggior parte delle principali città e paesi e hanno eretto delle “tende della rivoluzione” nelle piazze, confrontandosi direttamente con i partiti politici che dominano la politica locale.

Un’esplosione di energia rivoluzionaria ha scosso il Paese, con numerose iniziative che sono cresciute spontaneamente, e un sentimento di speranza e di ispirazione nell’aria.

La situazione è molto diversa dopo 15 mesi. Lo slancio rivoluzionario è scarso, il cinismo e il coronavirus si sono diffusi tra le comunità, e i partiti della classe dirigente e gli oligarchi stanno cercando il modo di sopravvivere al tracollo finanziario senza soddisfare nessuna delle principali richieste provenienti dalla rivolta.

I lavoratori poveri sono stati schiacciati dai prezzi alle stelle e dalla perdita di posti di lavoro a livello nazionale, e quella che una volta era la classe media, ha perso la maggior parte del suo potere d’acquisto mentre i suoi risparmi sono stati definitivamente sequestrati dalle banche.

Questa deludente realtà è in forte contrasto con il sentimento di speranza che ha sopraffatto il Paese durante la rivolta. Tuttavia, questa non è riuscita a ottenere nessun cambiamento immediato su larga scala, e il suo rapido successo è stato soprattutto sul piano del dibattito e del simbolismo politico.

Tuttavia, ciò non significa che questa rivolta sia scomparsa dalla storia. Come ogni altro momento rivoluzionario, anche questo ha sparso dei semi che alla fine sbocceranno, anche se ci vorrà del tempo.

Uno dei segnali di speranza proviene dal movimento studentesco, che dopo essere stato catalizzato dalla rivolta, in cui i giovani hanno avuto un ruolo di primo piano, ha ottenuto una vittoria schiacciante nelle elezioni delle universitarie private. Nel caso dell’Università americana di Beirut, dove i partiti politici hanno a lungo investito tempo e risorse per ottenere il predominio politico, tutti i partiti della classe dirigente hanno deciso di ritirarsi dalle elezioni rendendosi conto della probabilità di una vittoria schiacciante degli indipendenti, che alla fine si è verificata.

Allo stesso modo, gli avvocati hanno eletto un indipendente a capo dell’Ordine degli avvocati di Beirut, e i membri indipendenti del corpo accademico hanno ottenuto importanti progressi nelle elezioni interne dell’Unione degli insegnanti universitari libanesi.

La maggior parte dei partiti di governo sono in un momento di grave crisi, specialmente quelli che hanno goduto di una grande influenza sulla politica negli ultimi due decenni. I partiti che detengono i tre maggiori blocchi in parlamento sono forse oggi meno popolari che mai, mentre i due gruppi agli estremi opposti dello schieramento politico stanno consolidando il sostegno di popolazioni arrabbiate e impoverite.

Da una parte c’è Hezbollah, un partito politico islamico sciita e un’organizzazione militare alleata dell’Iran e della Siria. Dall’altra parte le Forze Libanesi, un partito politico cristiano nato da una milizia ormai disciolta, che è politicamente allineata con gli interessi occidentali e dei paesi del Golfo ed è l’avversario più accanito di Hezbollah e della sua presenza militare.

Nessuno dei due partiti ha una visione chiara su come condurre il Libano fuori dalla crisi, né ha il potenziale per ottenere una maggioranza netta in parlamento quando (o meglio, se) si svolgeranno le elezioni parlamentari. Ma entrambi sono riusciti, dopo la rivolta, a polarizzare le loro basi sulle tradizionali linee di demarcazione politica: identità religiosa e allineamento politico regionale.

Nel frattempo, non ci sono stati progressi a livello politico, nonostante l’estrema urgenza dettata da una situazione in costante peggioramento. Il Libano è attualmente privo di un governo attivo, poiché le forze politiche non riescono a trovare un accordo su una nuova compagine governativa che soddisfi le loro diverse esigenze.

Perfino l’esplosione nel porto di Beirut, una delle più devastanti esplosioni provocate dall’uomo nella storia dell’umanità, non è stata bastata a spingere la classe dirigente ad un’azione decisa.

Sebbene l’esplosione sia stata causata dalla negligenza dei funzionari pubblici, compreso il presidente della repubblica, che erano stati informati della pericolosità del materiale esplosivo, il processo di attribuzione della responsabilità non è stato né trasparente né efficiente.

Il principale effetto politico dell’esplosione e della protesta che ha avuto luogo il fine settimana successivo, è stato quello delle dimissioni del governo di Hassan Diab. Tuttavia, la classe dirigente ha reagito a queste dimissioni ripristinando Saad Hariri come primo ministro, lo stesso uomo che era stato rovesciato dalla rivolta popolare dell’anno precedente, nonché un simbolo di corruzione, capitalismo nepotistico e di una politica settaria.

È ormai chiaro che la classe dirigente non solo è testarda, ma anche desiderosa di annullare gli effetti della rivolta. Dalla crescente mobilitazione settaria, alle politiche e alla propaganda a favore delle banche, alla ripresa della solita vecchia politica, gli oligarchi del Libano hanno trascorso l’anno successivo alla rivolta aggiungendo al danno la beffa, anziché cercare di salvare il Paese.

Il clima attuale in Libano non è né promettente né stimolante, ma ciò non significa che non ci saranno cambiamenti. Si prevede che le vittorie nelle battaglie elettorali contro l’establishment continueranno. L’insurrezione ha determinato la politicizzazione di due gruppi sociali relativamente estranei agli affari libanesi: le giovani generazioni e la diaspora libanese all’estero. Entrambi questi gruppi sono molto preoccupati per il futuro del Paese.

Il movimento anti-establishment, come il Paese in generale, si trova ad affrontare diversi rischi come la costante minaccia di violenza politica, la repressione e l’escalation del conflitto regionale.

Ma a parte questi fattori incontrollabili, la vera sfida per questi movimenti sarà quella di penetrare l’egemonia della classe dirigente per mobilitare le comunità del paese a livello locale, allo scopo di sviluppare una visione comune di giustizia sociale ed economica e di responsabilità politica.

*Nizar Hassan è un commentatore e organizzatore politico il cui lavoro si concentra sulla giustizia economica e sul cambiamento politico. È co-conduttore del podcast settimanale “The Lebanese Politics Podcast” sulla politica libanese e membro dell’organizzazione progressista LiHaqqi