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Non è dolce il kiwi italiano per i raccoglitori del Punjab

Non è dolce il kiwi italiano per i raccoglitori del Punjab

Inchiesta L’Italia è il primo produttore Ue della «bacca verde». Un mercato enorme in mano alla multinazionale Zespri, che vuole raddoppiare gli ettari coltivati

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 aprile 2023

L’Italia è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo al mondo dopo Cina e Nuova Zelanda, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta Paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro. La prima regione del nostro Paese dove si coltiva la «bacca verde» è il Lazio. La zona più produttiva è l’Agro Pontino, in provincia di Latina. Da qui arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri, la multinazionale nata in Nuova Zelanda produttrice di un terzo dei kiwi commerciati nella grande distribuzione.

UN MERCATO GIGANTESCO, CHE IN ITALIA conta quasi 3 mila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti impiegati nella raccolta. Zespri è nota soprattutto per la varietà a polpa gialla, la SunGold, di cui detiene l’omonimo brevetto internazionale e concede la coltivazione delle sue piante solo con la stipula di un contratto. Stabilisce quindi il numero di ettari e licenze per la coltivazione, distribuendole a consorzi o cooperative che, a loro volta, cercano gli agricoltori. I produttori non pagano la licenza, ma devono diventare soci delle cooperative.

DAI CAMPI I KIWI VENGONO PORTATI nei grandi magazzini delle Organizzazioni di produttori e poi negli stabilimenti di proprietà delle cooperative. Lì vengono impacchettati e diventano kiwi Zespri: l’apposizione del bollino della multinazionale segna l’avvio della commercializzazione in tutta Europa. La catena è sorprendentemente complessa.

Marco Omizzolo, docente di Sociopolitologia delle migrazioni all’Università La Sapienza di Roma, la descrive come una sorta di «melassa imprenditoriale», dove c’è chi produce e vende a un altro produttore, che a sua volta rivende a un marchio. Il sistema, però, chiaramente funziona. Mentre l’Italia fa i conti con la moria dei kiwi — malattia che ha portato alla distruzione del 15% delle piantagioni — e con la siccità — che ha fatto crollare del 20% circa la produzione — Zespri tra il 2021 e il 2022 ha fatturato oltre due miliardi e mezzo di dollari.

NEL 2019 ERANO 2.700 GLI ETTARI di kiwi SunGold nel nostro Paese e l’obiettivo, ha annunciato l’azienda, è arrivare ad acquistarne 5.400 entro il 2025. A favorire l’espansione nel Lazio è il clima, quasi identico a quello neozelandese nonostante il riscaldamento globale. La provincia di Latina è al riparo dalle gelate precoci, fertile e sufficientemente umida. Ma soprattutto, mentre in Nuova Zelanda è primavera, nel nostro emisfero è autunno, e viceversa: per la multinazionale questo significa produzione e profitti tutto l’anno.

Zespri non solo distribuisce le licenze, ma fissa anche le caratteristiche organolettiche dei kiwi: peso, colore, sostanza secca — zuccheri, carboidrati e amido — e durezza. Nel periodo della maturazione, le Organizzazioni di produttori prelevano alcuni campioni di kiwi dalle aziende a loro afferenti, li fanno analizzare, controllano se il frutto rispetta i criteri e decidono quando può iniziare la raccolta. Le regole sono ferree, come riferiscono alcuni produttori: sono necessari guanti di cotone e manovre delicate e precise; indispensabili a non rovinare il frutto quando lo si mette nelle cassette.

LA CURA RISERVATA AL PRODOTTO contrasta con le condizioni riferite dagli operai agricoli che raccolgono la frutta, per lo più indiani del Punjab, di religione sikh. All’interno della «melassa imprenditoriale», la filiera dei kiwi e la sua tracciabilità si inabissano: «Quando ci sono tanti produttori che portano il raccolto alle grandi aziende, c’è un sistema di controllo sulla qualità, però non si fa molta attenzione a come il piccolo produttore tratti i lavoratori», commenta Giovanni Gioia, segretario generale della Cgil di Frosinone-Latina.

Dei loro «padroni» i sikh conoscono a malapena il nome e quasi nessuno sa dire a chi vengano venduti i frutti raccolti. Zespri è un nome ignoto tra i sikh e i magazzini delle cooperative sono molto distanti dai campi.

IN MOLTE DELLE AZIENDE DI KIWI i lavoratori ci hanno segnalato irregolarità: non solo paghe da fame, contratti anomali e la costante minaccia della violenza, ma anche il ricatto senza fine legato al permesso di soggiorno, impossibile da rinnovare senza un’azienda che provveda, almeno formalmente, alla stipula di un contratto di assunzione.

I salari non superano mai sette euro l’ora, nonostante il contratto provinciale fissi a nove euro lordi all’ora la paga base di un operaio agricolo. Frequente lo stratagemma del cosiddetto «lavoro grigio», cioè il pagamento del salario in parte regolare e in parte in nero, che permette agli imprenditori di versare meno contributi e tasse, mantenendo però una regolarità formale che rende più difficili i controlli. Inoltre, ricorrono i licenziamenti immotivati, l’assenza di servizi igienici adeguati, le pause brevi e la mancanza di dispositivi di protezione obbligatori, guanti e mascherine.

INTERPELLATA SULLE SITUAZIONI di irregolarità riscontrate in alcune aziende con la licenza per produrre i suoi kiwi, Zespri ha risposto: «Qualsiasi sfruttamento dei lavoratori è inaccettabile e ci impegniamo a chiedere conto a chi è coinvolto e a continuare a migliorare i nostri sistemi di conformità per aiutarci a farlo. Prendiamo estremamente sul serio le accuse e abbiamo avviato un’indagine in merito, anche per capire come sostenere al meglio i lavoratori coinvolti».

L’azienda collabora «con più di 1.200 coltivatori in Italia ai quali è richiesto il certificato Gobal Gap Grasp (Global Risk Assessment On Social Practice)». Ogni coltivatore viene valutato annualmente da parte dell’organismo di certificazione indipendente. I fornitori di Zespri, che provvedono all’imballaggio del prodotto, sono registrati a Sedex, «una delle principali organizzazioni di commercio etico focalizzata sul miglioramento delle condizioni di lavoro nelle catene di approvvigionamento globali», specifica. Attraverso Sedex, i fornitori italiani di kiwi SunGold vengono controllati esternamente da un organismo di certificazione terzo e confermano annualmente la loro accettazione del Codice di condotta dei fornitori Zespri.

L’AZIENDA SOSTIENE DI AVER CONTATTATO sia i propri fornitori sia i certificatori «per metterli al corrente delle presunte pratiche scorrette», «cercando di ottenere maggiori informazioni» a riguardo. Aggiungono che invitano «chiunque sia in possesso di informazioni relative a pratiche illegali» a contattare l’azienda tramite «la linea telefonica riservata EthicsPoint – Zespri International». La multinazionale afferma comunque di aver creato una propria «task force per rivedere i programmi di conformità ai regolamenti di Zespri (delle aziende fornitrici) a livello globale e identificare iniziative e/o miglioramenti da introdurre nella prima metà di quest’anno».

COME ZESPRI, ANCHE LE ORGANIZZAZIONI dei produttori dichiarano di non avere un ruolo nello sfruttamento dei lavoratori. Una di queste sottolinea che il suo obiettivo primario è «commercializzare il prodotto ortofrutticolo prodotto dalle aziende socie e valorizzarlo nel miglior modo possibile», pertanto non ritiene di avere «niente a che vedere con le responsabilità e gli obblighi delle aziende agricole fornitrici». Nonostante questo, il consorzio in questione sostiene di eseguire verifiche ispettive a campione. In caso di violazioni, il rapporto di fornitura verrebbe interrotto, scrivono.

(Hanno collaborato Charlotte Aagaard e Kusum Arora. Inchiesta realizzata con il supporto di EU Journalism Fund, Danwatch, IRPI Media, The Wire)

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