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Niš, musica e teatro in Serbia

«Candy» spettacolo vincitore del festival (foto Zoran Citic)«Candy» spettacolo vincitore del festival – foto Zoran Citic

La kermesse International Nišville Jazz Theater festival, con una intervista alla curatrice del programma performativo, l’attrice e regista Maja Mitic

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 31 agosto 2024
Franco UngaroNiš (SERBIA)

A Niš non c’è strada senza alberi e non manca mai quella brezza che mitiga i colpi violenti del sole ferragostano e che fa gustare al meglio gli umori e le emozioni dell’International Nišville Jazz Theater festival che si tiene a ridosso e dentro la Fortezza, testimonianza di un passato sotto il dominio romanico ed ottomano. Poco distante vive la comunità rom e capita di vedere bambine e bambini che cercano soldi per strada e insieme ai cani randagi cercano cibo tra i sacchi di immondizia.

La città è insediata nella ‘Valley Niš’ in quel lontano ‘est dorato’ poggiato ‘sul dardo di Satana’ oppure ‘sulle ali degli angeli’, ‘valle dell’inquietudine’ come l’aveva raccontata con i suoi versi Edgar Allan Poe. E delle tante inquietudini della contemporaneità si alimenta il programma performativo curato dall’attrice e regista Maja Mitic ospitando tra il 9 e il 12 agosto artisti e compagnie provenienti da Usa, Macedonia del Nord, Olanda, Serbia, Italia. Anche il teatro si presenta come veleno contagiante nello spettacolo più vibrante del festival, ovvero Candy portato in scena dalla giovane compagnia indipendente macedone Theater Golden Yelets.

Usando come materiale drammaturgico Candy: un romanzo di amore e dipendenza (1997) di Luke Dejivisa come pure la canzone omonima di Iggy Pop insieme a documenti scientifici sul tema della tossicodipendenza, i due giovani interpreti consumano le loro dosi quotidiane di droga e follia con la paura di perdere l’ amore che li lega. Tutto giocato su quel limite estremo dove amore e morte si cercano, si incrociano e combattono, Leo Popovic, tra i primi attori trans dichiarati in Macedonia, Boban Aleksoski, la regista Tamara Stojanovska, e il musicista Luka Tosev costruiscono una originale e avvincente messinscena dove il veleno iniettato nei loro corpi produce quella ‘disperata vitalità’ che apre varchi possibili all’insopprimibile bisogno d’amore, a modi di essere e di vivere diversi, a quella libertà vera, assoluta che le droghe non riescono ad offrire.

«Cosa aspettate? – diceva Antonin Artaud. Che la morte venga da voi? Vi propongo, cari miei, di andare da lei! Di guardarla in faccia!» Tutto è sincero, vero e reale in questo spettacolo che dà speranza e fiducia nelle possibilità rigenerative del teatro contemporaneo, grazie ai giovani talentuosi e con solida cultura teatrale del Theater Golden Yelets.

Trasferito su una dimensione planetaria, la lotta tra la vita e la morte, tra l’amore e la catastrofe trova ne Il grande spettacolo della fine del mondo del Theatre en vol di Sassari la sua declinazione ecologica e mitologica nello stesso tempo: come Plutone, dio degli inferi, rapisce Proserpina, figlia della dea Cerere, nello stesso modo ci sono coloro che si prendono cura della Madre Terra e coloro che la devastano e rapinano le sue risorse. Da una parte le donne generatrici di bellezza e di armonia, dall’altro i maschi violenti e predatori in uno spettacolo curatissimo nella scelta degli oggetti e delle musiche oltre che nell’impianto visivo e coreografico con esiti intensamente poetici. Anche il collettivo di Chicago Wender opera sul fronte dell’attivismo artistico, sociale ed ecologico e con Torn like a rose diretto da Ruth Margraff trasforma in libretto operistico con soluzioni coreografiche il poema del poeta persiano La conferenza degli uccelli raccontando il viaggio pericoloso degli uccelli alla ricerca della Rosa Meravigliosa dell’Amore.

Giovani sono Ana Obradovic e Gregorio Dragoni, coinvolti nel progetto multimediale e performativo The Knots avviato ad Amsterdam: nel bellissimo scenario della scalinata da cui si accede alla Fortezza con le loro armoniose improvvisazioni coreografiche modificano la percezione dello spazio e della architettura urbana, spesso progettata con rigidità, blocchi e barriere. Di barriere e ostacoli è lastricato il cammino dei migranti nella performance In the other people’s shoes, una produzione della compagnia inglese Athletes of the heart diretta da Anna Furse. In scena scarpe di ogni colore e forma, dei bambini, delle donne e degli uomini che fuggono dalle loro terre e che abbandonano sulle spiagge d’Europa. Anna Furse riesce a costruire un paesaggio emotivo forte lasciando alle musiche della Nisville band e al canto di Natalija Stamenkovic la creazione di quel paesaggio sonoro che tra jazz e sonorità balcaniche e mediterranee produce coinvolgimento e immedesimazione. Tra gli spettacoli più apprezzati dal pubblico Qualcosa di grande con la emergente compagnia italiana Maestrale Teatro in collaborazione con Istituto Italiano di Cultura di Belgrado: la singolare avventura artistica dei Lùnapop finita dopo appena un anno di straordinario successo con l’album Squérez… è parabola di esistenze fragili e precarie con i loro ricordi, miti, sogni e amori che li fanno rimbalzare con tanta auto-ironia e sottile comicità tra il passato adolescenziale, le sconfitte del presente e le incertezze del futuro.

Conversazione con Maja Mitic, direttrice artistica del festival

Sei stata una delle cofondatrici di Dah Teatro, tra le esperienze teatrali più innovative della ex Jugoslavia. Qual era la vostra mission agli inizi e perché hai deciso di lasciare il gruppo?
Abbiamo cominciato insieme nel giugno 1991 ma è iniziata subito la guerra civile in Jugoslavia. La nostra era una missione, resistere alla guerra. Dicevamo allora che «nel mondo di oggi, possiamo opporci alla distruzione e alla violenza con una creazione significativa. Attraverso un lavoro di squadra, creiamo un’arte drammatica e audace per provocare, ispirare e incitare alla trasformazione personale e sociale». Ho lasciato Dah Teatar nel 2016, dopo 25 anni di lavoro fantastico, viaggiando in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Mongolia al Brasile, dalla Nuova Zelanda all’Australia con performance, workshop, conferenze. Un’esperienza forte nel periodo più buio del mio paese. Sentivo la necessità di esprimermi nella regia, nel movimento scenico, nella regia di film documentari, volevo stare un po’ fuori dal gruppo, essere indipendente. Spesso capita che le dinamiche di gruppo non corrispondano a quelle personali.

Cosa e come è cambiata la scena teatrale serba e balcanica attuale rispetto agli anni Novanta?
È cambiato tanto dai tempi della guerra civile, ora viviamo nel momento più alto del neo capitalismo liberale. Viaggiando in tutto il mondo, potevamo mostrare un’altra immagine della Serbia, diversa da quella in onda sulle principali tv, così terribile. Eravamo la luce della luce! Potevamo mostrare che la resistenza contro Miloševic e la guerra era forte in Serbia, che anche molti serbi soffrivano e noi parlavamo di questo attraverso l’arte. Noi ci confrontavamo con il meglio delle avanguardie teatrali dell’epoca, da Barba a Grotowski, da Julian Beck e Judith Malina a Bertolt Brecht, da Peter Brook a Ariane Mnouchkine e la mia visione di teatro ora si basa sul principio dell’attore-creatore. Un tipo di lavoro teatrale, chiamato in tutte le lingue del mondo, «devised theatre’» (teatro di creazione o teatro di processo secondo altri). Intendo il teatro di «creazione collettiva» basato sul laboratorio e la sperimentazione, in cui gli attori sono i protagonisti di creazioni originali e sono autori e non semplici esecutori.

Qual è la identità dell’International Nišville Jazz Theater festival? Quali possibilità di sviluppo intravedi?
Nello stesso anno che ho lasciato Dah Theater ho ricevuto l’invito ad avviare come selezionatore e direttore artistico il programma performativo del Nisville Jazz Festival diretto da Ivan Blagojevic, una piattaforma fantastica per mettere in campo tutte le mie conoscenze, i miei contatti, la mia esperienza da un piccolo gruppo indipendente a uno dei più grandi e migliori festival internazionali d’Europa. La musica è il denominatore comune di tutti gli spettacoli e uno dei temi è lo spazio pubblico delle città come possibile spazio di espressione artistica. C’è sicuramente bisogno di più soldi per i festival, specialmente fuori Belgrado e nel sud-est della Serbia. Niš è la porta dei Balcani , collega l’Europa occidentale e l’Asia, la Grecia, Costantino il Grande è nato qui. Dobbiamo lavorare sulla decentralizzazione. Come il Festival Exit di Novi Sad anche al nostro festival i fondi devono essere assegnati in anticipo per poter programmare meglio e non attraverso i bandi.

Come vivi il rapporto con un contesto sociale e politico basato su logiche nazionalistiche?
Il buon teatro è buon teatro, indipendentemente dalla nazionalità. Sono cittadina del pianeta, dell’Europa, di Belgrado, di Niš. Il mio paese è il teatro, un teatro impegnato. In teatro si lavora con l’energia pura e la sua trasmissione, quindi se è una buona trasmissione, se è una buona emozione, tutti noi in quella stanza vivremo la katarsis. Non importa il paese da cui provengono gli artisti o il paese in cui ci esibiamo.

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