Nila Heredia: «Siamo un popolo paziente e caparbio»
Intervista La ex rivoluzionaria guevarista, ex ministra, è in Italia per deporre al processo Condor
Intervista La ex rivoluzionaria guevarista, ex ministra, è in Italia per deporre al processo Condor
Tenacia, competenza e coerenza. E capacità di mettere a frutto gli ideali anche quando il contesto non collima con lo “schema”. Sono queste le principali doti di Nila Heredia, chirurga, ex guerrigliera guevarista, poi rettora nell’importante università di medicina, in Bolivia, due volte ministra della salute nei governi di Evo Morales, e presidente dell’Associazione dei famigliari di detenuti, scomparsi e martiri per la liberazione nazionale (Asofamd).
Attualmente è in Italia per deporre al processo Condor, in corso a Roma per giudicare i delitti compiuti dalla rete criminale a guida Cia che, negli anni ’70 e ’80, ha ucciso anche cittadini latinomericani di origine italiana. Nila, militante dell’Esercito di liberazione nazionale, è stata la compagna del rivoluzionario italo argentino Luis Stamponi, catturato in Bolivia, consegnato alla dittatura argentina e fatto scomparire. Lei stessa ha subito il carcere e le torture, ma non ha mai tradito i propri ideali, né si è lasciata abbattere da quanti – conservatori o ortodossi – non gradivano la sua figura ai vertici dell’accademia e cercavano di ostacolarla.
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Bergoglio, il pugno e la croceIl papa, in Bolivia, ha reso omaggio al sacerdote Luis Espinal, ucciso dalla dittatura militare di Garcia e Gomez nel 1980. A che punto è in Bolivia la lotta per la memoria?
Dal 1964 all’84, in Bolivia si sono succeduti i colpi di stato e le dittature. Vi sono circa 150 desaparecidos. Il Plan Condor ha agito soprattutto durante la dittatura di Banzer. La guerriglia del Che aveva attirato nel paese l’intelligence nordamericana che ha formato anche i militari boliviani. Con il piano Condor, la consueta collaborazione tra intelligence e polizie si trasforma in un piano di sterminio, deciso dai vertici delle dittature. Nella lotta senza quartiere di quegli anni hanno pagato anche molti religiosi. Ricordarli, serve a ricostruire il percorso di resistenza che ci ha portato al presente.
Cos’hanno a che vedere i movimenti popolari che incontrano il papa a Santa Cruz con la lotta armata guevarista di cui ha fatto parte?
Siamo un popolo molto paziente, ma capace di grandi lotte che fanno cadere i presidenti. L’ultimo è stato Sanchez de Lozada, nel 2003. Si può dire che Evo sia stato portato per mano da una successione di passaggi che hanno prodotto una resistenza diffusa e sempre più organizzata da militanti che avevano una preparazione politica e sindacale forte. Negli anni ’80 abbiamo subito i colpi delle misure neoliberiste. Le miniere statali hanno chiuso e tutto è stato privatizzato. Molti degli espulsi hanno dovuto cercare un lavoro in città o arrangiarsi nelle cinture urbane. La legge del lavoro si flessibilizza, se prima dopo tre mesi di prova ti dovevano assumere, da allora la contrattazione diventa «libera». A quel punto arrivano le politiche Usa per il controllo del narcotraffico che confondono la foglia di coca con la cocaina e iniziano a distruggere le coltivazioni. Il governo consente la presenza di basi militari per il controllo del narcotraffico dove vengono formati anche militari e polizia boliviani. I nostri militanti organizzano operai, migranti e produttori di coca. Evo arriva da lì, dal sindacato dei cocaleros. Sarà eletto deputato con l’appoggio dei sindacati, dei movimenti e della sinistra. Con le lotte per l’acqua, siamo stati il primo paese a scacciare una grande multinazionale.
E oggi? Qual è il peso della nuova borghesia aymara?
Quello di oggi è un processo particolare, antiliberista, antimperialista, ma ancora interno al capitalismo. Solo che i beni dello stato servono ad alimentare la popolazione, c’è maggior pulizia perché Evo è una persona onesta e intelligente. Cresciamo di un 4% ogni anno e non abbiamo deficit come prima. Non siamo ancora un paese industrializzato, e con i 10 milioni di abitanti non possiamo certo competere con il Brasile o l’Argentina. Abbiamo a volte scontri molto duri al nostro interno. L’ossatura del cambiamento non è data da un partito – e questo per me è un limite – ma da un’articolazione di movimenti, dalla confederazione dei contadini a quella indigena, alle donne. Adesso anche l’importante Central obrera ci appoggia pienamente. Prima non aveva fiducia in Evo, pensava che il governo dovesse invitare gli operai alla cogestione e stava a vedere se fosse un vero rivoluzionario. E lui ha detto: se pensate che questo sia un processo rivoluzionario, non avete bisogno di essere invitati: per fare la rivoluzione non c’è bisogno di invito.
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