«Mi auguro che il nuovo governo, dopo l’iniziale periodo di assestamento, faccia della centralità del parlamento un punto fermo del suo metodo di azione» ha detto ieri la presidente del senato. Già la camera, con due pareri approvati all’unanimità la settimana scorsa, aveva chiesto uno stop ai Dpcm, «strumento superato». E ieri il ministro Franco e il sottosegretario Amendola durante l’audizione sul «Piano nazionale di ripresa e resilienza» si sono sentiti ripetere lo stesso avvertimento e non solo dall’opposizione: coinvolgete e rispettate il parlamento. I Dpcm, però, non finiranno. E quanto al controllo del parlamento sul Recovery plan, nulla è ancora deciso.

A sollevare di nuovo il problema dei Dpcm durante la discussione nell’aula della camera dell’ennesimo provvedimento anti Covid (un decreto legge Conte che ne ha assorbiti altri due, compreso il primo del governo Draghi) sono stati ieri sia gli interventi dell’opposizione (Bellucci di Fratelli d’Italia) che della maggioranza (Ceccanti del Pd e Ungaro di Italia viva). Nella replica la sottosegretaria Bergamini ha assicurato che «il nostro impegno sarà verso un’interlocuzione costante, aperta e costruttiva con tutti i rappresentanti di maggioranza e di opposizione, il nostro faro sarà la centralità del parlamento». Ma la presidenza del Consiglio, allo stato, valuterebbe come irrealistica l’ipotesi di rinunciare del tutto ai Dpcm. E dunque di spostare – come ha chiesto la camera – le regole quadro nei decreti legge e affidare invece alle ordinanze ministeriali la «colorazione» delle regioni. E c’è già un nuovo ordine del giorno di maggioranza (sarà in votazione oggi a Montecitorio e verosimilmente sarà accolto) che chiede di affidarsi ai decreti legge, «fonte legislativa», almeno «la parte attinente all’esercizio di libertà costituzionali fondamentali». «Il governo sa che deve marcare una discontinuità nei rapporti con il parlamento», dice Ceccanti. La soluzione potrebbe allora essere quella di ridurre quantomeno nel contenuto, se non nel numero, i Dpcm.

Mentre non è ancora chiaro come sarà assicurato il controllo del parlamento sul Recovery plan. «L’interlocuzione ci sarà, non è retorica ma una necessità», ha detto ieri Amendola. Ma al momento l’unica certezza è che le camere approveranno un parere al quale stanno già lavorando (ma sul testo del vecchio Pnrr, quello di Conte). Il governo ne terrà conto per l’ultima stesura anche se ancora non è chiaro se il testo definitivo del piano, prima di essere inviato a Bruxelles, tornerà in parlamento per eventualmente essere accolto in una risoluzione. Dopo di che si aprirà la partita dei diversi provvedimenti che serviranno a implementare il piano. Il governo, a quanto si sa, non ha ancora scelto quale sarà lo strumento normativo adatto. La camera domani nel comitato per la legislazione e in prima commissione approverà un nuovo parere per chiedere che venga usato lo strumento delle leggi delega. In modo che il parlamento possa dare al governo indicazioni stringenti e le commissioni possano esprimere un giudizio finale sui testi dei decreti legislativi.