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Netanyahu si allea con il gruppo di Visegrad

Netanyahu si allea con il gruppo di VisegradNetanyahu con il leader ungherese Viktor Orban

Europa/Medio oriente Il premier israeliano domani accoglierà a Gerusalemme i leader di Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia per sancire la vicinanza di Israele ai governi sovranisti spina nel fianco dell'Unione europea. Un'alleanza ideologica con un occhio rivolto alle elezioni del 9 aprile

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 17 febbraio 2019
Michele GiorgioGERUSALEMME

I sovranisti e ultranazionalisti di tutto il mondo si uniscono. E così il gruppo di Visegrad (V4) si allarga e di fatto accoglie Israele. Per ora solo come paese alleato, si può dire che è nato il V4 Plus. Domani Benyamin Netanyahu accoglierà a braccia aperte il leader ceco Andrej Babis, lo slovacco Peter Pellegrini, l’ungherese Viktor Orban e il polacco Mateusz Morawiecki che si ritroveranno a Gerusalemme per un summit di due giorni in cui saranno discusse politiche comuni nei confronti dei flussi migratori, sicurezza e antiterrorismo e, più in generale, il ruolo attuale e quello futuro dell’Europa. Per il premier israeliano il V4 a Gerusalemme è un altro “successo” diplomatico da spendere nella campagna elettorale per le legislative del 9 aprile. Successo che si aggiunge a quello ottenuto a Varsavia appena qualche giorno fa quando i rappresentanti delle monarchie arabe sunnite del Golfo gli hanno assicurato, durante incontri a porte chiuse, che per loro ormai conta solo colpire l’Iran e che la questione palestinese è acqua passata.

Netanyahu sarà caloroso in modo particolare con Viktor Orban, suo amico e «stretto alleato» dello Stato ebraico come ha ripetuto a chi gli faceva notare l’antisemitismo strisciante del premier ungherese. Netanyahu ha anche scelto di ignorare il tentativo di Orban di riabilitare Miklos Horthy il leader ungherese durante la seconda guerra mondiale responsabile della deportazione di centinaia di migliaia di ebrei. In più occasioni Netanyahu ha fatto capire che per lui è importante solo l’appoggio che Israele può ottenere dai governi stranieri. E pertanto non tiene conto del loro colore e delle loro politiche, anche quando sono repressive e antidemocratiche. Il brasiliano di estrema destra Bolsonaro e Orban gli vanno benissimo. Così come l’italiano Matteo Salvini – accolto con grandi onori lo scorso dicembre in Israele – perché esalta l’identità etnica e il rifiuto dei migranti, dei musulmani, del diverso. Li sente ideologicamente affini.

Conta solo l’interesse di Israele soprattutto se i rapporti con questi leader a dir poco controversi possono contribuire alla demolizione delle politiche dell’Ue in Medio oriente. A cominciare dal (già blando) sostegno all’indipendenza palestinese per finire all’appoggio all’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano firmato nel 2015 e dal quale, anche per le pressioni israeliane, l’Amministrazione Trump è uscita lo scorso maggio annunciando nuove sanzioni contro Tehran. Nel luglio 2017 a Budapest Netanyahu disse subito di sì alla proposta di ospitare in Israele un incontro del gruppo di Visegrad. Quindi domani e martedì sfrutterà al meglio la possibilità di sparare a zero sulla linea dell’Ue in Medio oriente, troppo equilibrata per i suoi gusti e ancorata sul non riconoscimento della colonizzazione israeliana dei Territori occupati e favorevole alla creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele che i suoi governi dal 2009 a oggi hanno fatto di tutto per minare nelle sue fondamenta.

A Gerusalemme ci sarà anche il polacco Mateusz Morawiecki che aveva minacciato di rimanere a Varsavia in reazione alle dichiarazioni fatte da Netanyahu sulla partecipazione attiva dei polacchi all’Olocausto. Morawiecki stava per rovinare la festa dei sovranisti, di chi vuole alzare muri e chiudere confini e porti di fronte agli stranieri, organizzata da Netanyahu a Gerusalemme. Ma nelle ultime ore la crisi si è stemperata. La nuova querelle fra Israele e Polonia ripercorre quella del 2018 dopo l’approvazione da parte del parlamento di Varsavia della legge che imponeva sanzioni o la reclusione fino a tre anni per l’attribuzione alla nazione o allo Stato polacco di responsabilità nei crimini nazisti.

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