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Nemoralia, viaggio a Nemi

Nemoralia, viaggio a Nemi«The Golden Bough» di Joseph Turner (1834)

Percorsi d'autore L’artista Luigi Serafini è autore del leggendario Codex Seraphinianus: ha inviato a Alias questo «viaggio nella mitologia»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 agosto 2023

Premetto che amo fare viaggi nei luoghi comuni, perché lì si nascondono mille sorprese. Cosa c’è di più interessante del luogo comune? Un luogo cioè facilmente accessibile, visitato da sempre e anche da prima di sempre? Per esempio, i Castelli Romani, o colli Albani, a sud di Roma, una zona di antichi vulcani con due laghi formatisi nei crateri. Quello di Nemi sarà la nostra meta.

Negli anni ’50, la gita domenicale ai Castelli era molto comune nella bella stagione. Mio nonno ci portava sempre in una certa trattoria di Frascati, non lontana da Villa Mondragone, dove quarant’anni prima un antiquario di nome Voynich, aveva acquistato dai Gesuiti un Codice che da allora porta il suo nome e che ora è a Yale. È un libro misterioso dalla scrittura indecifrabile e per questo spesso associato al Codex Seraphinianus, anche se, quando io lo stavo disegnando, nessuno a Roma ne aveva sentito parlare.

Cominciamo questa gita fuori porta, come si diceva allora, nei limiti delle battute che il giornale ci ha messo a disposizione.
Accendo l’autoradio…c’è Lando Fiorini: Guarda che sole ch’è sortito, Nannì / Che profumo de viole, de garofani e pensées / Come è tutto un paradiso, li Castelli so’ così.

È una visione estatica dei luoghi che visiteremo, come quella di James Frazer, che, evocando un paesaggio di Turner, cercò di trasmettere ai lettori la luce del lago di Nemi, all’inizio de The Golden Bough (Il Ramo d’Oro): No one who has seen that calm water, lapped in a green hollow of the Alban hills, can ever forget it..
Partiamo e imbocchiamo via dell’Appia Antica, che ci consente di entrare subito nel Mito (e che Mito!), anche se non c’è ancora una segnaletica a indicarcelo. Beh, veramente qui ci vorrebbe un macchinario simile a un autolavaggio da attraversare, con voci latine ed etrusche, cembali e flauti, profumi di antiche cucine e un po’ di nebbia catartica con l’ologramma solenne di Juppiter et aquila. Eh sì, perché stiamo per fare all’inverso il percorso fondativo di Romolo e Remo, l’alba dell’Occidente.

Comunque, acceleriamo salutando la ninfa Egeria che ancora ci concede le grazie della sua acqua (n.b. effervescente naturale) e raggiungiamo l’Appia Nuova, lasciando a destra Via dei Cessati Spiriti, e di cui però non scrivo. Il Parco degli Acquedotti ci circonda, finché giriamo a sinistra dopo l’aeroporto di Ciampino, che «abbagliato sotto sbiadite stelle, vibra di aeroplani», come scrisse Pasolini che lì insegnò, appena arrivato a Roma.
Poi Marino, dalle cui fontane talvolta esce non acqua, ma vino, e ci inerpichiamo sulle falde dei vulcani, chiamati colli per «tenesseli boni». Ecco improvviso sulla destra il lago di Albano e sulla cresta opposta Castel Gandolfo dove è situata strategicamente la Specola Vaticana. Da lì i Papi hanno monitorato per secoli sia i sottostanti Inferi, grazie agli abissi del lago, sia il sovrastante Cielo Empireo. Ancora un po’ di curve e finalmente Nemi, che si affaccia sul suo lago, l’antico «specchio di Diana» incorniciato dai boschi. Diana lì era detta Taurica, perché il suo culto fu portato da Oreste in fuga dal Chersoneso Taurico (la Crimea), dove aveva ucciso il re Toante (e speriamo che nessuno l’abbia detto a Putin…).

Diana Nemorensis, detta anche triforme per i suoi attributi, celeste, terrestre e ctonia, aveva un maestoso tempio sulle rive del lago, oggi rovine tra rovi. Lì si svolgevano i Nemoriali, o festa delle Torce, alle idi di agosto, dal 13 al 15. Era una grande celebrazione durante la quale i boschi si illuminavano con centinaia di candele accese dai fedeli. Era così importante che nella liturgia cristiana si scelse il 15 per la festa dell’Assunzione di Maria, vergine come Diana.

Dea potente, aveva come attributo la falce di Luna, che transitò nel cristianesimo sotto i piedi di Maria, e poi nell’islam attraverso gli Ottomani che la scoprirono a Bisanzio, città dedicata ad Artemide-Diana fin dalla fondazione. E quella falce da lì è arrivata nientemeno fino ai nostri croisssant…

A Nemi c’è una sagra delle fragole che trascende la festa stessa, perché viene sancito de facto il Principio Universale di Fragolosità (PUF), ovvero che le fragole non devono superare il calibro di quelle offerte lì, sulle bancarelle e stop quindi a quelle gonfiate come mandarini. La sagra è imperdibile e la porchetta di Ariccia, lascito di arcaici sacrifici, ci ricorda che Enea comprese la raggiunta destinazione grazie alla scrofa di Lavinio. Il colore dominante in quel giorno è ovviamente il rosso, da cui per un semplice cromatismo ci si collega ad ancestrali fatti di sangue, che per secoli si svolsero nel recinto del sottostante tempio di Diana, dove cresceva un albero assolutamente intoccabile. Solo uno schiavo fuggitivo, qualora ne avesse spezzato un ramo, si sarebbe potuto battere col grande sacerdote, e in caso di sua uccisione, avrebbe regnato al suo posto col titolo di «re del bosco» rex nemorensis.
E quel ramo spezzato era il sopra citato Ramo d’Oro (Iunoni infernae sacer) che, secondo Virgilio, Enea usò per la catabasi nell’Ade, il cui ingresso era proprio da quelle parti.

La giornata volge al termine, il sole sta tramontando sul Tirreno, ma forse c’è ancora il tempo per scendere giù al Museo delle Navi, prima della chiusura. Lì scoprirete la storia delle navi imperiali che l’eccentrico Caligola teneva sul lago per i suoi divertimenti e anche come furono recuperate dal fondo ecc ecc…E ora buon rientro in città e alla prossima!

* L’artista Luigi Serafini è autore del leggendario Codex Seraphinianus: ha inviato a Alias questo «viaggio nella mitologia» nelle giornate dedicate alle celebrazioni di Diana Nemorense. Alessandra Vanzi ha scritto della sua casa museo nel numero di Alias del 1 luglio 2023.

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