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Nella guerra su Tim-Telecom il convitato di pietra è lo Stato

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Il caso Bisogna tornare all’epoca della Stet o comunque alla fase precedente le privatizzazioni per trovare un protagonismo così forte del potere pubblico nel settore strategico delle telecomunicazioni. Una strategia alla Merkel che come si sa non ha mai consentito che le telecomunicazioni finissero nelle mani dei privati.

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 aprile 2018

Nella guerra per il controllo di Tim e di Telecom, ovvero per il controllo della più potente rete italiana di telefonia fissa e mobile oggi nelle mani di Telecom, c’è un convitato di pietra che non si vedeva da tempo nelle grandi operazioni finanziarie: lo Stato italiano. Come osservava sul Sole 24 ore Franco De Benedetti, nella decisione della Cassa Depositi e Prestiti di acquisire un 5 per cento di Tim si intravede una strategia precisa, un ritorno dello Stato interventista allo scopo di evitare che la rete di telefonia finisca nelle mani dei francesi di Vivendi. Non si sa se l’operazione riuscirà, questo lo decideranno le prossime assemblee degli azionisti. Ma la svolta resta ed è bella grossa. Un inedito. Bisogna tornare all’epoca della Stet o comunque alla fase precedente le privatizzazioni per trovare un protagonismo così forte del potere pubblico nel settore strategico delle telecomunicazioni. Una strategia alla Merkel che come si sa non ha mai consentito che le telecomunicazioni finissero nelle mani dei privati.

Come è noto la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. è una società per azioni controllata per circa l’83% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il 17% circa da diverse fondazioni bancarie. Il fatto che la Cdp abbia deciso a freddo di entrare a gamba tesa nella guerra azionaria tra privati, tra il gruppo che fa capo a Vincent Bollorè e il Fondo americano Elliot assume un carattere simbolico e politico. Si potrebbe obiettare che durante il governo Renzi c’è stato un altro intervento del potere pubblico: quello che ha portato al salvataggio del Monte dei Paschi di Siena. Ma in quel caso si trattava di una partita assai diversa, di un salvataggio che a quanto pare non aveva alternative. Nel caso della Tim la Cassa Depositi e Prestiti è invece intervenuta a freddo, proponendo un’alleanza con il Fondo Americano che detiene il 10% del capitale al fine di fermare la scalata di Vincent Bollorè che in qualità di azionista di maggioranza controlla già il 23 per cento. Questo è lo scenario economico e finanziario. E’ altrettanto evidente che dietro le quinte della guerra per il controllo di Tim c’è la politica. E non si tratta soltanto della politica del governo Gentiloni che ha favorito l’operazione della Cassa Deposito e Crediti. E’ vero. I rapporti fra governo Gentiloni e Tim sono migliorati quando in particolare il nuovo amministratore delegato, Amos Genish ha esposto, prima delle elezioni il progetto di separazione societaria della rete Tim in una società sempre controllata dall’ex Telecom Italia al 100%. Una posizione, quella di Genish, contrario a cedere il controllo della rete. Ma di Tim hanno parlato anche i vincitori delle elezioni ed è su questo punto che vale la pena focalizzare l’attenzione.

Nel corso della battaglia azionaria hanno colpito le dichiarazioni del M5S e della Lega a favore di una politica delle Tlc che preservi la nazionalità italiana della compagnia telefonica. Quasi un preludio al patto di programma. Si legge nel manifesto elettorale del partito ora guidato da Luigi Di Maio: “Il Movimento 5 Stelle s’impegna affinché l’infrastruttura di rete e la relativa gestione siano a maggioranza pubblica​“, è scritto nel capitolo sulle Telecomunicazioni del programma M5S: “Vogliamo creare le condizioni – hanno scritto prima delle elezioni politiche – per unire le porzioni di rete attualmente detenute dai principali soggetti operanti nella realizzazione, gestione e manutenzione della rete in fibra ottica in un’unica infrastruttura”. Anche il centro destra ha plaudito all’intervento della Cdp. Matteo Salvini non ha mai nascosto il suo orientamento per una rete telefonica sotto il rigido controllo italiano. Per Silvio Berlusconi il discorso è diverso. Come sempre il capo di Forza Italia pensa prima di tutto ai suoi interessi. Berlusconi non vede di buon occhio i francesi di Vivendi per il semplice fatto che Vincent Bollorè ha tentato di insidiare il controllo di Mediaset. L’alleanza con Sky va in direzione anti francese.

Non vogliamo dire che Lega e M5S hanno determinato la scelta della Cassa Depositi e Prestiti ma è vero però che le nomine ai vertici della Cdp scadono tra non molto e se nascesse un governo Lega-M5S questo non sarebbe indifferente alle nuove nomine. Anzi nell’agenda di Di Maio e di Salvini la Cdp sarebbe in testa alle decisioni da prendere, visto il ruolo strategico che i due vincitori delle elezioni del 4 marzo hanno deciso di far svolgere alla banca pubblica controllata dal Tesoro. La partita è appena cominciata e gli esiti non sono affatto certi. Gli appuntamenti sono due, l’assemblea del 24 aprile che voterà sulla revoca e la nomina di 6 nuovi consiglieri indipendenti e l’assemblea del 4 maggio quando si dovrebbe votare sul rinnovo dell’intero consiglio d’amministrazione dopo le dimissioni dei consiglieri sollecitate da Vivendi.
In questa gigantesca partita politica e finanziaria ci sono da registrare due prese di posizione. Franco Bernabè, vice presidente di Telecom, candidato al nuovo consiglio per i francesi è stato gelido a proposito dell’ingresso della Cdp: Vedremo in assemblea chi ha i voti. E comunque ben vengano tutti gli investitori interessati. Telecom è la compagnia che ha la maggiore profittabilità in Europa il che significa che, nonostante tutti i problemi che ha avuto, è solida e di grande attrattività per gli investitori”.

I sindacati invece si dicono favorevoli. “Il via libera del consiglio di Cassa Depositi Prestiti all’ingresso diretto nel capitale di Telecom, con un ruolo di garante dell’interesse nazionale e dell’integrità dell’impresa, rappresenta una prima buona notizia e potrebbe costituire il presupposto per una ritrovata stabilità della governance di Tim con risorse adeguate a sviluppare i processi digitali e di innovazione”.

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