Nella cucina della Locandiera un mondo di interessi e debolezze
A teatro Il testo classico goldoniano in un allestimento di scena all’Argentina per la regia di Antonio Latella
A teatro Il testo classico goldoniano in un allestimento di scena all’Argentina per la regia di Antonio Latella
La redazione consiglia:
La malattia del gioco secondo GoldoniNON A CASO Latella, nel breve testo sul volantino dello spettacolo, rende omaggio al regista di cui vuole raccogliere l’eredità, il genio di Massimo Castri che in una sua storica messinscena dei Rusteghi scoprì a tutti sul palcoscenico la forza esplosiva dei racconti goldoniani, fin dalla prima battuta, così ricca di senso: «De boto xe finìo Carneval, e non abbiamo visto neanche una commedia nuova».
Sonia Bergamasco è Mirandolina, irresistibile e inquietante
ORA in questa Locandiera, quell’interno alberghiero (di Annelise Zaccheria) appare sobrio, una enorme cucina-soggiorno-salapranzo chiusa da una incombente parete lignea a cassettoni. I costumi (di Graziella Pepe) suonano quasi a noi contemporanei: i «nobili» in jeans o in tuta, il cavaliere in cappotto di cammello, e il cameriere Fabrizio in lino bianco. Mirandolina in tshirt bianca, che poi si trasformerà in casalinga tenuta, è sempre candida. Le due comiche si agitano invece in fatale raso nero. La recitazione è forte e «sottolineata», perché quella sorta di «teorema» sociale sia ben chiaro e consapevole. E le fantasie seduttive come i corteggiamenti (ora più ora meno fasulli) hanno ogni volta ben chiaro un secondo fine al di là dei convenevoli sociosalottieri.
Si ride e ci si diverte, ma un fondo di amarezza (e a tratti quasi di veleno) è sempre in agguato: l’analisi sociale e comportamentale è ineluttabile per lo spettatore, che nella cucina di quella locanda vede chiaramente un mondo intero, di interessi e debolezze, di illusioni e di organizzazione sociale. Si ride e si pensa. I «sentimenti» si fanno percorsi della ragione, lasciando intatto a Goldoni il suo valore «comico», per quanto amaro.
GLI ATTORI sono chiamati a una gran prova, dando corpo e senso a questo Goldoni «nostro contemporaneo», già nel settecento specchio e ingegnere di valori, veri e fasulli, che oggi sono scoperti e palesi, a cui Franco Visioli dà coerenti sonorità. Protagonista è Sonia Bergamasco, attrice importante che qui si impegna senza riserve, irresistibile quando giuliva, e inquietante quando riflette, in una grande prova di recitazione. Come per altro si può dire di tutti gli interpreti: Ludovico Fededegni è il cavaliere di Ripafratta combattuto nei sentimenti e nelle posizioni di finto furbo, i nobili suonati di Giovanni Franzoni e Francesco Manetti, le comiche teatranti drammaticamente disposte a tutto (Marta Cortellazzo e Maria Pizzigallo), e il compunto cameriere Valentino Villa, già consapevole di un futuro borghese che vedrà crescere il proprio peso sociopolitico. Un gran lavoro di squadra, che lascerà una traccia, come per Goldoni hanno significato le regie di Castri e prima ancora di Strehler, rendendo lo scrittore veneziano una strada sempre maestra dello spettacolo.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento