Visioni

La malattia del gioco secondo Goldoni

La malattia del gioco secondo GoldoniScena da «Il giuocatore» – foto di Giuseppe DiStefano

A teatro Marinella Anaclerio con la sua Compagnia del sole porta in scena «Il giuocatore», tra comicità e angoscianti rimandi all'attualità

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 10 dicembre 2022

Dicono sociologi e forze dell’ordine che la ludopatia sia un fenomeno in continua espansione, in una gamma assai ampia che va dal gioco d’azzardo d’alto bordo ai grattaevinci che appassionano soprattutto anziani dai tabaccai. Può sorprendere scoprire che già Carlo Goldoni, padre del teatro moderno, abbia dedicato all’argomento un suo testo importante. Che non rinuncia ai meccanismi più divertenti, elaborando sul personaggio protagonista, Il giuocatore appunto, un intreccio irresistibile di debolezze e di colpi di scena. Una commedia poco rappresentata oggi, ma che la regista Marinella Anaclerio con la sua Compagnia del sole ha sviscerato e proposto (al teatro Piccinni) tra peccati e colpi di scena, con un effetto che è insieme di risate e di amarezza.

PRENDE così corpo una gran sarabanda tra vizio, ingenuità e malaffare. Un carosello di giocate perse dal malcapitato protagonista (Tony Marzolla), di aspirazioni frustrate, di imbrogli orchestrati dai compari che continuano a gabbarlo, e dei sotterfugi di lui per rimediare continuamente a quelle sconfitte che si vanno ingrossando a valanga. In un gioco di equivoci che danno il meglio di Goldoni, ma che oggi ci danno l’amarezza di sapere che da una parte il fenomeno riguarda generazioni sempre più giovani, ma anche come il governo di questo «impero del male» sia in mano alla criminalità organizzata. Insomma si ride molto a «giuocare» con quelle gesta, ma con un sottofondo di preoccupazione che viene dall’oggi. Lo spettacolo ovviamente ha un lieto fine, come soleva fare l’amabile Goldoni, ma porta una morale ancora oggi stringente. Favorito da una équipe di attori bravi e impegnati, governati dall’autorevolezza del Pantalone padre della sposa (Flavio Albanese) che con piglio deciso porta la vicenda verso i territori del Goldoni novecentesco, come ce l’hanno fatto scoprire nell’ultimo mezzo secolo i grandi maestri della regia: comico ma severo, critico ma amoroso verso i personaggi, in balia di sentimenti e ingenuità, ma con una salda conoscenza dell’economia e della proprietà.

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