Secondo Alessandro Portelli, una delle tante qualità di Bruce Springsteen è che la sua musica è cresciuta con lui: basta ascoltare i suoi ultimi album come l’ottimo Western Stars per capire che la forma, lo stile e soprattutto i temi delle sue canzoni non sono più quelli di Greetings from Asbury Park. Spesso però, il rock è una musica che vive in una specie di bolla temporale senza età. Songs of Surrender, la nuova raccolta di 40 canzoni degli U2 (Island, in uscita il prossimo 17 marzo) riarrangiate o riscritte con la sensibilità attuale da Bono e compagni cerca di affrontare proprio questo tema. L’idea di rivisitare il proprio catalogo alla luce dell’esperienza è nata durante il periodo più duro del lockdown, quando The Edge ha iniziato a lavorare ai nuovi arrangiamenti: «Siamo più vecchi. La voce di Bono è maturata e le sue capacità di controllo e di interpretazione come cantante sono molto migliorate. Perché non diamo un nuovo sguardo a queste canzoni?» ha dichiarato il chitarrista a Rolling Stone.

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LA SCELTA è ricaduta su alcuni dei classici della band come One o Pride (In the Name of Love), ma anche su canzoni meno note e la corrispondenza con l’autobiografia di Bono uscita da qualche mese, costruita su quaranta capitoli intitolati ognuno come una canzone, ha dato a questa raccolta la sua forma definitiva.
Songs of Surrender suscita riflessioni su diversi argomenti, anche a prescindere dal risultato artistico, che in alcuni momenti è sorprendente. Dal punto di vista musicale si tratta di un album di Bono e The Edge, con la sezione ritmica che ha un ruolo di secondo piano rispetto al solito: gli arrangiamenti sono costruiti principalmente su chitarra acustica, piano e archi. L’approccio acustico e fintamente spoglio sostituisce l’epica tipica degli U2 con un’atmosfera più intima e mostra che hanno scritto canzoni che meritano di essere nell’Olimpo del rock, che spesso brillano anche in questa forma molto più essenziale: per citarne una, Where the Streets Have No Name non ha più nulla dell’inno da stadio e ha una base di solo piano elettrico e archi.

LA VOCE di Bono è più educata e controllata, ma meno potente del passato e in diverse tracce Edge fa molto più che la seconda voce. Ma forse non è questo l’aspetto più interessante di Songs of Surrender: per gli appassionati, quello che colpisce di più sono probabilmente le canzoni meno note e che hanno subito i maggiori cambiamenti di arrangiamento e di testo, che ne cambiano il senso a volte in modo radicale. L’esempio più lampante in questo senso è Walk On, scritta per Aung San Suu Kyi e oggi dedicata all’Ucraina, ma anche le canzoni che parlano della scomparsa della madre di Bono riflettono l’elaborazione del lutto da parte del cantante. Probabilmente il vero valore di questa raccolta non è nelle canzoni in sé, ma nel confronto tra le versioni originali e quelle rivisitate, che raccontano come il tempo, il successo e le esperienze abbiano cambiato Bono e la sua interpretazione. Quanto queste versioni siano utili per far tornare più rilevanti gli U2, però, rimane in dubbio: le canzoni originali hanno ancora una maggiore immediatezza e colpiscono più direttamente di queste rivisitazioni.

UN ALTRO elemento interessante di riflessione che emerge è legato alla «legacy» delle canzoni (e non solo). La pubblicazione dei primi pezzi ha suscitato delle reazioni non troppo favorevoli di alcuni fan storici della band, che le hanno viste come una specie di sacrilegio o come uno sfregio a un’icona immodificabile. È vero che Pride (la prima uscita) è una delle canzoni più deboli di tutta la raccolta e suona come una versione da falò sulla spiaggia del pezzo originale, ma un’obiezione di questo genere non ha senso: Songs of Surrender non sostituisce le versioni originali (che sono sempre disponibili) e, soprattutto, se qualcuno ha il diritto di cambiare un’opera d’arte, si tratta del suo autore, con buona pace dei gatekeeper o dei nostalgici del bel tempo che fu. Chi conosce la carriera ormai più che quarantennale degli U2 sa che se c’è una certezza nella musica di Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen, Jr. è che il cambiamento è da sempre nel loro Dna, anche a dispetto del risultato finale.