Cultura

Napoli, tra dettagli e trasformazioni

Napoli, tra dettagli e trasformazioniVeronica Bisesti, «Dora e Fausta», Accessori per pelletteria, 2022 fonte www.quartierelatinomuseo.it

GEOGRAFIE «Quartiere Latino. Condominio», dal museo all’arte di vivere la città. Al di là delle opere esposte, si impone la domanda del senso e sostentamento della vita quotidiana. Gli artisti, con i loro piccoli ma significativi interventi, suggeriscono quanto la loro poetica nasconda una politica nell’invito a fermarsi, guardare, ascoltare e ripensare

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 giugno 2023

Napoli. Il sole brillante rimbalza sul citofono simulato. I nomi sono tutti uguali: Esposito. Non lontano da qui si trova la Basilica dell’Annunziata Maggiore a Forcella con la sua ruota girevole dove i neonati venivano abbandonati, appunto esposti, per essere affidati alle cure della Chiesa. A poche centinaia di metri, lungo la stessa strada, si trovano le ossa del re Ladislao di stirpe angioina-ungherese. Interessi e poteri transnazionali hanno sempre attraversato questa città, sedimentati nella sua archeologia culturale, e continuano a riverberarsi in questo condominio trasformato in una galleria pubblica dell’arte contemporanea: Il Quartiere Latino. Parigi e la Saint-Germain-des-Prés medievale, dove studenti e professori internazionali conversavano in latino, propone anche un cosmopolitismo più recente filtrato dal cool post-1945 dell’esistenzialismo, dell’arte moderna e del jazz: Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Juliette Greco, Jeanne Moreau e Miles Davis (memorabile la colonna sonora che Miles improvvisò per Ascensore per il patibolo di Louis Malle con Jeanne Moreau nel 1958) e poi le pietre di quel quartiere parigino hanno fornito delle armi per gli studenti durante il 1968.

COSÌ, in questo umile condominio non lontano dal traffico incessante di via Foria, su una strada un po’ abbandonata che scende dalla collina fino a Porta Capuana e, allargandosi, cambia nome in via Carbonara, si accumulano per la via delle storie ricche e stratificate, profumi del passato che propongono anche altri futuri possibili.
«Quartiere Latino: Condominio – Museo d’arte contemporanea a km 0» (www.quartierelatinomuseo.it), sia nella sua collocazione che nello spazio espositivo, abbatte deliberatamente una serie di confini e barriere. Le opere esposte sono di dominio pubblico, o almeno dello spazio comune dell’ingresso del condominio e della scala che si snoda ripidamente per cinque piani fino al tetto. Dal «falso» citofono sulla strada al pomello della porta d’ingresso, ai frammenti d’oro e di turchese incastonati nel pavimento di basalto vulcanico e nei gradini della scala, l’ordinario è stato trasformato. Il progetto curato da Nicola Vincenzo Piscopo e Marta Ferrara ha permesso ai giovani artisti – Clarissa Baldassarri, Gabriella Siciliano, Paolo La Motta, Lucas Memmola, Veronica Bisesti, Andrea Bolognino, Antonella Raio, Fabrizio Cicero, Vincenzo Rusciano, Roberto Pugliese, Carmela De Falco e Miho Tanaka – di ridisegnare lo spazio urbano.

È UNO SPAZIO LIMITATO, sospeso tra pubblico e privato, ma è pur sempre un laboratorio suggestivo in grado di coltivare prospettive e proposte che ci portano ben oltre la soglia di condominio. Proprio la volontà di lavorare con i limiti, di estenderne e azionarne le loro potenzialità è il punto. Ci attira in pratiche che sono allo stesso tempo immediate e concrete, le idee devono negoziare la materialità, il desiderio scendere nel dettaglio.
Al di là dell’arte esposta, in gran parte apprezzabile nella sua stimolante suggestione e ironia, si pone la questione stessa di come vivere la città. Come, nella nostra «ricezione distratta» (Walter Benjamin), trarre senso e sostentamento dalla sua vita quotidiana? Se, notoriamente, Napoli è una città di rovine caratterizzata da una porosità di temporalità e ritmi incontrollabili (Asia Lacis e Walter Benjamin), è diventata anche un paesaggio rovinato nella sua architettura contemporanea. Proprio la mancata considerazione del dialogo con i suoi linguaggi e bisogni sedimentati ha prodotto mostruosità urbane. Le due piazze principali della città, piazza Municipio e piazza Garibaldi, sono state trasformate in deserti di cemento, vetro e acciaio.

Nelle città del sud, che siano del sud Italia o di altre parti del pianeta, ciò che è più necessario per il bene di tutti i suoi abitanti, siano essi umani, animali o vegetali (e stiamo imparando che tali distinzioni sono solo diverse combinazioni di false separazioni) è un gioco serio di acqua e verde. Questo non è un argomento contro le tecnologie della modernità o la sperimentazione architettonica, ma è certamente un argomento contro il loro esercizio astratto, come se una «soluzione» e un progetto, sognati in uno studio di architettura a Parigi, Londra o Tokyo, fossero universalmente validi. Imporre tali astrazioni alla complessità del territorio è colonialismo.

QUESTA non è nemmeno una difesa dei diritti del provincialismo, come se gli architetti e i pianificatori locali avrebbero necessariamente fatto un lavoro migliore. Si tratta piuttosto di suggerire la necessità di una rivalutazione radicale delle pratiche architettoniche e delle politiche urbane. Neanche la tanto sbandierata interdisciplinarità è sufficiente. Sono le premesse stesse del progetto, la sua filosofia e l’inevitabile riduzione della vita urbana a un oggetto di studio fisso, stabile e senza corpi e vite, che debbono essere scavate. Reso trasparente a una volontà architettonica e direzionale, il feticcio-oggetto blocca le considerazioni reali sulle complessità vissute e sulle loro possibili configurazioni. Questo significa semplicemente preservare le reliquie di un insediamento soprattutto di stampo barocco? No, ma suggerisce un impegno più profondo con il locale e le vite che corrono dentro, seminando dell’innovazione nei tessuti viventi del corpo urbano anziché imporgli una punizione.

E questo ci riporta a «Quartiere Latino: Condominio – Museo d’arte contemporanea a km 0». Gli artisti, con i loro piccoli ma significativi interventi, sostengono tali domande e suggeriscono un modo di rispondere alla città attuale. Ancora una volta, questa poetica nasconde una politica nell’invito a fermarsi, guardare, ascoltare e ripensare. Secoli di spiegazioni sicure di sé e accompagnate dell’esercizio brutale del proprio dominio si sgretolano di fronte alle domande che non si ascoltano; di fronte alle domande di cui si rifiuta di assumersi la responsabilità.
I dettagli minimi di un ingresso e di una scala resa arte, di una galleria di passaggio, sostengono un dialogo più profondo per una vita più conviviale ed equa di quanto non riescano a fare il comitato di progettazione e l’ufficio urbanistico comunale. Anche questo è qualcosa su cui riflettere e da praticare.

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