Cultura

Naoise Dolan, l’amore ai tempi della sua «aritmia»

Naoise Dolan, l’amore ai tempi della sua «aritmia»Relazioni, Ikons / foto Ap

BOOKPRIDE 2024 Una intervista con la scrittrice irlandese sul romanzo «La coppia felice», edito da Atlantide. Il 9 di marzo sarà ospite alla fiera milanese, in dialogo con Claudia Durastanti. «Il matrimonio è il passo successivo in una relazione. Questa «logica», che scaturisce dalle aspettative sociali, è spiegata dalla espressione "the relationship escalator"»

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 2 marzo 2024

Celine è una pianista, porta sempre i guanti per paura di danneggiarsi le mani, sa come ottenere il consenso attraverso la disputa per contraddittorio, è bisessuale. Luke, il suo fidanzato, ha un buon lavoro, è laureato in filosofia e teologia, si oppone come può alla intelligenza di lei che tuttavia è rara. Non si urtano, i due, quasi trentenni, anzi stabiliscono buoni compromessi. Intorno a loro c’è la polverizzazione relazionale di un gruppo di amici e amiche, discutono parecchio e su qualsiasi cosa, speculando e collassando su se stessi.

La coppia felice è il titolo del secondo romanzo della scrittrice irlandese Naoise Dolan (Atlantide, pp. 272, euro 18, traduzione di Claudia Durastanti, recensito su Alias D da Enrico Terrinoni), tra le e gli ospiti della nuova edizione di BookPride, negli spazi di Superstudio Maxi a Milano dall’8 al 10 di marzo.

Dolan discuterà del suo romanzo con Claudia Durastanti sabato 9 (15:30, Sala Honolulu)

Attraverso le vite di Celine e Luke conosciamo quelle di Maria, Archie, Phoebe, Vivian. «La coppia felice» è stato definito un romanzo corale. Si può aggiungere che sono altrettante solitudini che si incontrano?
Mi sembrava importante esplorare non solo le interazioni fra i personaggi, ma anche le prospettive private interne. Mi interessava anche il modo in cui tutti i personaggi giustificano le loro scelte e le loro versioni degli eventi, e per tutto questo dovevo dare loro un po’ di solitudine in cui poter pensare.

Parlando delle relazioni con Luke, Celine distingue la melodia dall’armonia. Nell’anno che li separa dal giorno del matrimonio accadono diverse cose, una di queste è che lei non avverte più la musica dentro di sé. È una scomparsa sensoriale o solo un cortocircuito?
Per Celine, le sensazioni uditive creano la connessione più importante fra la sua stessa interiorità e ciò che agisce il suo corpo. Lei si esprime soprattutto suonando il pianoforte, e all’inverso i suoni nell’ambiente che la circonda sono gli aspetti che attraversano di più la sua coscienza. Perciò, un cortocircuito della musica rappresenta anche una scomparsa sensoriale.

È interessante la scomposizione temporale operata nel libro riguardo ciò che sentono i personaggi, mentre analizzano, smontano e ritornano, con antefatti ed esiti. Che cosa è il presente e quali comunanze ha con il presente della letteratura?
Il presente è un caos, direi, ma anche il presente della letteratura lo è. Non esistiamo mai solo in un momento isolato, perché i termini e le esperienze con cui navighiamo in questo istante arrivano dal passato. Certo, la letteratura modernista ha contribuito molto combinando dei pensieri del «presente» e del passato in un flusso di coscienza. Ma preferisco pensare di più come una drammaturga, dipanando il passato più spesso attraverso delle scene specifiche di quanto lo spiego tramite dei pensieri durante una scena del presente. In questa mia scelta si tratta dell’urgenza che volevo dare alla narrativa.

A proposito del matrimonio, descrive bene l’organizzazione di questo rito di passaggio, le aspettative, le proiezioni astratte. Sembra si attivi una macchina del disincanto, sia pure con ironia e leggerezza, guidata da chiunque tranne che da due innamorati.
Per questa coppia, il matrimonio è logicamente il passo successivo in una relazione dopo aver vissuto insieme. Questa logica non scaturisce da loro stessi, bensì dalle aspettative della società. C’è una espressione inglese, «the relationship escalator», ovvero la scala mobile di una relazione, che cattura perfettamente questo schema. Perciò, aveva più senso esaminare il matrimonio agli occhi di tutti, non solo della coppia a cui semplicemente accade più di quanto loro lo facciano accadere.

La monogamia non funziona, nemmeno i cosiddetti triangoli e a quanto pare neppure il poliamore se la passa tanto bene. La regola è allora non avere l’ansia di dare delle etichette o forse si può imparare meglio dal piacere che dalle definizioni?
Mi sembra che gli esseri umani possono sbagliare in ogni singolo scenario possibile. Ecco una bella cosa per una scrittrice perché c’è sempre del conflitto da utilizzare. Per le persone in generale e per la nostra felicità, magari non è poi così un bene. Non posso mai raccomandare un approccio di carattere universale alle relazioni, tranne dire che tante persone non hanno dei confini abbastanza forti. Se si può essere assertivi, allora non importano molto le regole o i termini iniziali perché sempre si può dire a qualsiasi punto: «Questo non mi piace più, cambiamolo o diciamoci addio».

Riguardo lo stile, lei utilizza la pagina bianca come fosse una pausa, un riposo, poi l’interruzione come una eventualità non realizzata; e una quantità di elenchi. Che cosa non si può mettere in parole e cosa invece ha bisogno di essere ordinato?
Non è una scienza esatta per me. Si tratta in qualche misura del ritmo: come un pezzo di Chopin, bisogna avere dei passaggi staccati e legati per la varietà. Ma si tratta anche del fatto che sia la sposa che lo sposo possono razionalizzare tutto attraverso le parole, quindi nel privarli della opportunità di farlo, chi legge viene invitato a raggiungere le proprie conclusioni.

In alcune parti del suo libro affiorano critiche alla eteronormatività e al patriarcato. Il suo però è un romanzo in cui le generazioni protagoniste hanno già decostruito entrambe le istanze, facendo esperienza dei corpi. Propri e altrui, con sufficiente libertà. Un po’ come emerge dal suo romanzo precedente, «Tempi eccitanti».
Descrivo in entrambi i romanzi la realtà di un certo ambiente e di alcuni giovani. L’esperienza di questi modi di vivere è più familiare per alcuni che per altri. Non volevo però farne un’argomentazione diretta o esprimere inequivocabilmente le mie opinioni, piuttosto intendevo solo essere realistica. Semmai i miei personaggi discutono la eteronormatività e il patriarcato, lo fanno meno spesso di quanto questi temi vengano discussi nei miei gruppi di amici. A Berlino, Dublino e Londra.

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