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Naoise Dolan, una pronuncia ideale per non sentirsi a casa

Naoise Dolan, una pronuncia ideale per non sentirsi a casaCorban Walker, «The view from the floor», 2016

Narrativa irlandese Giovane expat dublinese a Hong Kong, la protagonista di «Tempi eccitanti» – brillante esordio di Naoise Dolan – addestra l’orecchio dei suoi allievi alla lingua dei colonizzatori, tra fricative dentali sorde e sonore: da Atlantide

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 8 novembre 2020

La storia del romanzo irlandese si presta in particolar modo a venire letta attingendo alle metafore della migrazione, della destituzione, del dislocamento. Riferendosi a James Joyce, un grande critico ha coniato il termine «dislocuzione», vale a dire un modo di scrivere e di parlare che sposta l’asse, cambia il paradigma, dando luogo a una sorta di «parallasse letteraria», un cambio di prospettiva invisibile a occhio nudo, ma apprezzabile tramite il riconoscimento di prospettive finalizzate a scoprire scenari diversi.

Il concetto di «dislocuzione» ben si adatta al brillante romanzo di Naoise Dolan, Tempi eccitanti (Atlantide, pp. 297, € 16,50) tradotto con elegante precisione da Claudia Durastanti, che ha sollevato la questione della lingua, parlando di questo testo come «un’avventurosa ricognizione della capacità colonizzatrice dell’inglese britannico a fronte di quello parlato in Irlanda, «profano e storto».

L’inglese di Drumcondra
George Bernard Shaw amava ricordare come per ascoltare il migliore inglese bastasse recarsi a Lower Drumcondra, un quartiere popolare del nord di Dublino; e il drammaturgo dublinese (ma anche membro dell’Ira) Brendan Behan, parlando degli inglesi disse: «Ci hanno dato la loro lingua, e noi gli abbiamo dato la loro letteratura», riferendosi ai tanti grandi scrittori irlandesi considerati fino a qualche decennio fa britannici, da Swift, allo stesso Shaw a Wilde, a Joyce, a Beckett.

Naoise Dolan è una giovane dublinese, che dopo avere studiato al Trinity College si è trasferita a Oxford e con la sua opera prima ha dato forma a un universo dislocato spazialmente e linguisticamente. La sua protagonista, irlandese, insegna inglese in un’altra ex colonia britannica, Hong Kong, e nella sua personalità è impresso una sorta di Dna della lingua: «Spiegavo ai miei studenti di nove anni che c’erano sempre due modi di pronunciare il suono “th”. Quella all’inizio della parola “think” e alla fine della parola “tooth” era la fricativa dentale sorda, mentre quella all’inizio di “that”, “these” e “those” era la fricativa dentale sonora».

Niente affatto futile, questa incursione nella fonologia inglese è rivelatrice della différance irlandese: «avevo vissuto ventidue anni senza saper pronunciare nessuno di quei due fonemi in maniera opportuna», rivela la protagonista, e il caustico commento, tipico di questo libro frizzante suona così: «se qualcuno aveva sospettato che ci fosse qualcosa di sbagliato nel mio inglese, se l’era tenuto per sé».

A quella che Giorgio Melchiori ha chiamato «la lingua dell’oppressore», resistono le varianti locali: l’irlandese, appunto, l’inglese di Scozia, quello australiano, i tanti inglesi americani, ma nonostante le sfaccettature della lingua in tante vite parallele, solo alcune varianti sembrano trattenere nel panorama internazionale un significato socialmente marcato.

Lontano da casa
La protagonista del romanzo ne è consapevole: si è trasferita lontano dal suo paese, e pur incontrando anche expats inglesi si troverà soprattutto a contatto con gente che vede nell’Inghilterra il suo faro, la sua chimera. Julian, per esempio, che parla il linguaggio della finanza e con cui ha un curioso rapporto di amicizia rispettosa e di fredda relazione sessuale: un rapporto che lascerà il campo a qualcosa di più profondo, l’incontro con la coetanea Edith, la cui sessualità rimpiazza, disloca, e destituisce quella offerta dal manager inglese.

I critici hanno avvicinato Naoise Dolan a Sally Rooney, ma è un paragone pigro. In realtà, il suo Exciting times (uno dei rari casi in cui l’aggettivo exciting va tradotto con «eccitanti» e non con «entusiasmante, esaltante, emozionante») deve tanto alla tarda letteratura vittoriana che la scrittrice ha approfondito a Oxford, e soprattutto a Wilde. Ne portano tracce i dialoghi sferzanti e asciutti, lo humour veloce, il distaccato sarcasmo sulla «cattiveria» della critica sociale. Tutt’altro che sprovveduta, la protagonista è pronta a sfruttare le opportunità che le si presentano, ma anche a farsi trasportare dal desiderio, e il suo ritratto di giovane irlandese cosmopolita e curiosa ci rimanda un personaggio affrancato dai retaggi della tradizione ma sempre disposto, sebbene di sfuggita, a rispecchiarsi nell’ovale riflettente lo spettro della propria fisionomia nascosta e talvolta rinnegata.

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