Ascoltando il disco di Vipra è facile pensare che il suo nome d’arte sia nato dalla crasi fra «vipera» e «vibra», Giovanni Vipra firma il suo secondo album Musica dal morto (Asian Fake/SonyMusic). Disco diverso dal primo, molto meno facile (meno commerciale, per dirlo in altre parole), il concept che c’è dietro ai 10 brani è emblematico, incentrato sulla memoria post mortem, così nei brani oltre al titolo viene assegnato uno scomparso eccellente, Tenco, Keith Flint, Adam Yauch o Sid Vicious, con cui solidarizza (senza fare paragoni). Ma poi il filo conduttore è soprattutto un pretesto per frullare idee di un album senza produttore, fatto in casa. Pezzi tesi punk rock potente alla Viagra Boys, come Pugni e calci, Quiet Kid e Guardami!, o più rock malinconici ma ugualmente sporchi come Vestito di Cristo. Canzoni che sono una critica acida, senza appello e certe volte estemporanea verso la società dell’apparenza, la disoccupazione e la colpevolizzazione dei più giovani, il consumismo o l’avidità dell’industria discografica. Dietro un velo di irrimediabile disillusione Vipra racconta con arguzia e coraggio il presente, molto più di chi è funzionale al mercato adottando una qualsiasi postura impegnata.