Museo Fellini, l’arte fuori di sé
Cinema e città A Rimini un polo museale dedicato al grande regista, raccontato da uno dei suoi curatori
Cinema e città A Rimini un polo museale dedicato al grande regista, raccontato da uno dei suoi curatori
Oggi apre il Fellini Museum, il polo museale riminese dedicato al grande regista. Il progetto nasce da un bando internazionale, del 2018, che assegnò la realizzazione al gruppo composto, fra gli altri, da Studio Azzurro e Lionello Cerri (Lumière film e Anteo di Milano), gli architetti Orazio Carpenzano e Tommaso Pallaria, la museologa Anna Villari, lo scrivente, in qualità di esperto del cinema felliniano.
Il Museo si sviluppa su tre poli, parimenti importanti: Castel Sismondo, dimora rinascimentale dei Malatesta, poi carcere sino al 1967, recentemente restaurato; Palazzo Valloni, sede del cinema Fulgor, affacciato sull’antico decumano della città romana – l’odierno corso d’Augusto che collega l’Arco d’Augusto con il Ponte di Tiberio; e la grande piazza Malatesta, un’arena che funge da anello di congiunzione tra le due architetture. Un progetto che si muove nell’auspicato nuovo rapporto fra centro storico e immaginari della città balneare, sfumando quella antinomia che Fellini steso, sin da I vitelloni, aveva evidenziato. Un cambio di paradigma che nelle intenzioni della municipalità arricchisce la città di Rimini con una più ampia valenza storico-culturale.
Se negli ultimi anni il cinema ha aperto nuove strade nel rapporto con gli spazi espositivi, come esporre Fellini in un Museo? Quale rapporto istituire fra le potenti immagini dei suoi film e la miriade di materiali che “circondano” il suo cinema? Quale l’equilibrio fra percorsi didattici, di avvicinamento al regista, e pratiche curatoriali in grado d’innescare ulteriori cristalli di memoria? Si tratta di quesiti aperti: oggi ci sembra normale vivere l’esperienza del film all’interno dei musei e delle gallerie d’arte, ma il processo di revisione delle immagini cinematografiche porta con se una mole di possibilità espressive e di problemi legati alla loro “rilocazione”.
Certo, il cinema che diviene ’“arte fuori di sé” – come recitava il titolo di una acuta riflessione del compianto Paolo Rosa – contribuisce alla moltiplicazione di esperienze immersive, a nuovi percorsi emozionali capaci di disincagliare il sentire e innescare altre dimensioni rituali. Ma in luoghi in cui lo spettatore abbandona la tradizionale postura di sala può davvero divenire “spett-autore”? Può attivare potenziali rielaborativi del cinema finora inespressi?
Si tratta di una sfida che prevede nuove liturgie museali – in parte, purtroppo, limitate dalle norme anticovid che impediscono l’interattività di alcuni dispositivi – allestimenti capaci di sottrarre le immagini a una semplice prospettiva documentale, per attivare riflessioni sulla complessità dell’esperienza estetica. Una sorta di lotta fra un senso configurato e un senso incerto, in cui le immagini “liberate” consentono originali percorsi interpretativi. Un intreccio fluttuante, in cui la modernità di Fellini si situa proprio nella ininterrotta vibrazione iconica con cui i suoi film hanno reinventato la complessità della società italiana, sollevandone aspetti dell’inconscio profondo.
All’esposizione di oggetti materiali – dai costumi di scena al Libro dei sogni, degli appunti musicali di Nino Rota alle sceneggiature originali, dai materiali non fiction a estratti dei film di Fellini… – si associano dunque momenti interpretativi, “macchine a immaginario” – secondo la visionaria indicazione di Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro – in un percorso espositivo e di ricerca capace di sollecitare evocazioni e nuove costruzioni di senso.
Nessun feticismo dell’oggetto, nessun sacrario fellinista, per un Museo che non vuole (solo) rispondere a domande ma, soprattutto, provocarle; quanto il tentativo di avviare un luogo di arricchimenti costanti, rielaborazione di fonti, studi originali grazie a progressivi progetti curatoriali. D’altronde lo prevede la definizione stessa di Museo da parte dell’International Council of Museum Italia(ICON): “un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”.
A Castel Sismondo ogni intervento è stato pensato con la consapevolezza dell’enorme valore del sito rinascimentale, dunque in relazione al luogo e in accordo con la sovrintendenza, nel pieno rispetto dei beni culturali e archeologici. Il Museo prevede installazioni leggere e autoportanti, progettate per non intaccare superfici murarie e pavimentazioni, e consentire al visitatore di ammirare l’architettura in tutta la sua bellezza. Come le parti archeologiche, che grazie ad una attenta illuminazione si offrono ora sia a una visione rinnovata sia a evocazioni felliniane, nel ricordo dei fantastici tour sotterranei di film come Roma o Block notes di un regista.
Al piano terra del Castello, oltre a sale dedicate a Giulietta Masina, a Marcello Mastrianni e ad Anita Ekberg, diventiamo davvero spett’autori che si perdono fra il mare e la nebbia, per attraversare l’esperienza del limite, quella cortina umida in cui accendere il mixer dei ricordi. Se Fellini trova la possibilità di esprimere il non dominabile dalla ragione aprendo le porte al perturbante, a zone d’ombra, al carattere di gioiosa rivelazione dell’epifanico, le magiche presenze di elementi della natura – il mare, la nebbia – segnano installazioni in cui un visibile incerto sembra quasi farsi tattile. Dove Rimini appare un’emozione confusa fra le immagini di Amarcord e le riprese originali della città invernale.
Torniamo in noi grazie agli stravaganti messaggi di persone qualunque, desiderose di una particina, di un consiglio, di una spintarella, che scrivono a un regista alla perenne ricerca di volti non banali. Lettere di autopromozione, fotografie, disegni inviati anche al suo collaboratore, Gérald Morin, che appaiono specchiandoci in una cornice digitale, in un processo di buffa identificazione con un’umanità carica di desideri inconfessabili. Un viaggio nelle aspirazioni segrete di molti, reso possibile grazie alla collaborazione con la Fondation Fellini pour le Cinéma di Sion, in Svizzera.
D’altronde, in Fellini curiosità e profondo desiderio dell’incontro con l’“altro” sono inesauribili: la disponibilità alla conoscenza non protetta e all’ascolto di idee originali lo avvicinano a preziosi compagni di viaggi letterari. Calamite culturali, da Boccaccio a Buzzati, da Manganelli a Palazzeschi, da Parise a Tobino, da Collodi a Pasolini, poi Flaiano, Guerra, Zanzotto, Cavazzoni…
Una comitiva di autori diversi che, grazie alla compagnia virtuale della poetessa Rosita Copioli, scopriamo inserendo una scheda digitale in appositi mobili-libreria. Un aspetto particolare della poetica del regista, quello legato al suo interesse per la letteratura e i fumetti, ma anche alla sua passione per le scienze occulte e l’esoterismo. Facile richiamare il fondamentale incontro con lo psicanalista Ernst Bernhard: non è un caso se la biblioteca di Fellini conservava opere come Inconscio, occultismo e magia di Carl Gustav Jung, Mitobiografia dello stesso Bernhard o Il mondo magico di Ernesto De Martino…
Ecco, infatti, la Sala del Libro dei sogni, dove possiamo soffiare su una piuma posta all’altezza dei nostri occhi per attivare una serie di immagini volanti, i fogli del celebre librone felliniano. Attraverso la leggerezza del nostro soffio, le pagine di uno dei più celebri libri d’artista del Novecento appaiono sulla parete davanti a noi, gigantografie dei disegni e della scrittura onirica del regista.
Prima di lasciare il Castello e le sue 16 sale un ultimo accenno merita lo scrigno di immagini aeree collocate su gigantesche altalene digitali. Qui siamo coinvolti in una galoppata fra scene tratte da film di Fellini e cinegiornali, documentari, materiali d’epoca: una ininterrotta vibrazione iconica con cui l’opera del regista attraversa la società italiana, evidenziandone orizzonti mediali, aspetti antropologici e confini dell’inconscio profondo che andavano ben al di là dei dettami del Neorealismo classico.
Scendiamo in Piazza con un intervento di carattere immateriale, realizzato attraverso la musica e i suoni, in un sentiero uditivo che collega il Castello a Palazzo Valloni, alla base del quale sta lo storico Cinema Fulgor. Come è ampiamente riportato dalle biografie felliniane, il regista vide qui il suo primo film, Maciste all’inferno (1926), seduto sulle ginocchia del padre. E sempre qui iniziò la sua carriera di vignettista, disegnando locandine e caricature di divi hollywoodiani.
Sopra al cinema, restaurato dallo scenografo-costumista premio Oscar Dante Ferretti (in uno stile liberty-hollywoodiano che richiama fasti del secolo del cinema), si scopre un Museo capace di attivare ulteriori evocazioni, attraverso installazioni come “La casa del mago” – uno spazio magico, a tratti surreale, in cui si proiettano immagini relative agli aspetti più esoterici del cinema di Fellini – o “La stanza delle parole” – in cui udiamo la voce di Fellini stesso, marca identitaria del suo mito: voce suadente, irta di vezzeggiativi, ruffiana e provocante, voce in cui “chi sono io”? e “cos’è il cinema?” si confondono in un’unica, irrisolvibile questione.
Sempre nella sede di Palazzo Valloni, grazie all’utilizzo degli “armadi archivio” e delle “moviole cittadine” sono possibili sia percorsi didattici che di ricerca; nonché la consultazione di materiali acquisiti in passato dalla ex Fondazione Federico Fellini o prestati da altre istituzioni cinetecarie. Il polo dovrebbe inoltre ospitare la Academy Tonino Guerra, una scuola dedicata alla formazione dei professionisti del cinema, proposta da Andrea Guerra, celebre musicista e figlio di Tonino.
A questo punto la sfida riguarda la futura governance del Museo, fondamentale per le scelte d’indirizzo e curatoriali a venire. In una città che recentemente si è dotata di diversi contenitori culturali, dal restauro del Teatro Galli ai Palazzi dell’Arti Rimini (PART), con i quali il Comune ha offerto i palazzi medievali dell’Arengo e del Podestà per ospitare la collezione della Fondazione San Patrignano, garantire l’interesse pubblico di ogni operazione di salvaguardia e valorizzazione museale diventa fondamentale. Un impegno di grande responsabilità per la città di Rimini, per i suoi paesaggi di vita e per la nuova amministrazione, in carica dopo le elezioni del prossimo ottobre. Ma anche per l’intero paese e la cultura italiana, affinché la presentazione del Museo Fellini – in occasione della Mostra di Venezia del prossimo 31 agosto, da parte del Ministro della Cultura Dario Franceschini – consolidi le potenzialità dell’istituzione museale nell’essere al servizio della società e del suo sviluppo, aldilà di qualsiasi tentativo di spettacolarizzazione dell’immagine felliniana.
Marco Bertozzi è Consulente per il cinema, co-curatore del Fellini Museum di Rimini.
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