Da molti anni, Alexandra Lapierre si dedica alla scrittura di romanzi che restituiscano la biografia di personaggi storici dimenticati, con una attenzione speciale alle esistenze di donne cui ha accordato la sua dedizione, letteraria e politica.

Elizabeth Chudleigh, Artemisia Gentileschi, Belle Greene e poi ancora Isabel Barreto, Fanny Stevenson, diverse sono state le latitudini e le epoche percorse da Lapierre che ha sempre prediletto la forma del romanzo e di cui ora arriva nelle librerie italiane La donna dalle cinque vite (edizioni e/o, pp. 706, euro 25, traduzione di Alberto Bracci Testasecca) al cui centro c’è l’esistenza di Marija Zakrevskaja.

Nata alla fine dell’Ottocento nell’odierna Ucraina da una nobile famiglia russa, Marija, più comunemente detta Mura, partecipa ai fasti della società internazionale non solo russa; colta e intelligentissima, il suo primo grande rovescio avviene dopo la rivoluzione del 1917, attraversa continenti, guerre e passioni tra cui si annoverano quelle con gli scrittori Gor’kij e H.G. Wells e con il console inglese a Mosca Lockart che di lei scriverà: «Era un’aristocratica. Avrebbe potuto essere una comunista. Non avrebbe mai potuto essere una borghese».

Come ha incrociato Marija Zakrevskaja e perché questo interesse per la sua storia?

Grazie allo scrittore Romain Gary, che – a proposito del suo L’educazione europea – racconta di una favolosa baronessa Budberg che lo avrebbe aiutato ad avere una traduzione inglese del suo libro. Da lì a poco, durante un soggiorno in Inghilterra, ho provato a cercare qualche occorrenza mi potesse indirizzare verso questa figura mai sentita fino a quel momento. Ho scoperto così che in un giornale della fine degli anni Settanta compariva un breve pezzo relativo a una anziana e distinta signora che recatasi da Harrods, a Londra, era riuscita a infilare in un grande ombrello tre oggetti. Cacciata dal negozio, quando il vigilante le chiede cosa volesse farci con un tappo di champagne, un bicchiere per la vodka e un coltello per le torte, lei risponde: «Ma amore, è solo l’avventura con la sua eccitante adrenalina». Ho trovato questa cronaca bizzarra, apprendendo poi che quella baronessa aveva avuto molte vite e altrettanti nomi e che era sempre la stessa persona: era stata la figlia del ciambellano dello zar, partecipando fin da piccola ai balli dell’aristocrazia russa. All’inizio della prima guerra mondiale era diventata contessa a Berlino, sposata con un diplomatico. Durante la rivoluzione del 1917 la sua famiglia viene uccisa e lei catturata almeno in tre occasioni dalla Ceka, aveva avuto una storia pazza con una spia inviata dagli inglesi da Lenin per convincerlo a non firmare la pace con i tedeschi. Diviene in seguito l’amante di Gor’kij e di Wells. E potrei continuare.

Quando lei comincia a guardare i materiali che poi le hanno consentito di scrivere il romanzo, l’espressione che ritorna è che Marija Zakrevskaja sia stata una sopravvissuta. Creatura metamorfica, è stata invece segnata, tra trionfi e dolori, da un profondo senso di libertà, sentimentale, politica e sessuale.

La libertà d’amore era la sua cifra più vasta ed era cruciale da rendere. Sono stati tre anni di ricerche inesauste, di indagini, ma questa ossessione per me si divideva da subito in due aspetti: quella che direzionavo verso di lei, verso Mura, leggendo i documenti negli archivi e nelle biblioteche di mezzo mondo, dagli epistolari ai rapporti di polizia, facendo attenzione a essere più esatta possibile e aderente ai fatti visto che la sua vita era già abbastanza romanzesca. Sono stata attenta a chi la circondava, accorgendomi che anche in ruoli minori quelle persone erano tutte tridimensionali, dotate di spessore e interesse. Il secondo aspetto su cui ho lavorato è stato di rendere accessibile a chiunque il contesto entro cui Mura si muoveva, quindi anche ai non specialisti della storia russa italiana e inglese. Ho scelto il romanzo dunque nella costruzione della trama ma non ho inventato niente.

Qual è stata la difficoltà più grande incontrata nello studio dei materiali a sua disposizione?

Distinguere la verità dalla finzione, soprattutto quando ciò che veniva raccontato direttamente da Mura mi appariva fin troppo bello ed eccentrico per essere realmente accaduto. Ad esempio, quando a proposito di uno dei suoi arresti raccontava che a salvarla era stato il portiere del palazzo dei suoi genitori. Vedendola lì sotto, per strada insieme ad altri prigionieri, il portiere aveva potuto avvisare tempestivamente Gor’kij che i bolscevichi l’avevano presa e portata in un preciso indirizzo della Ceka. Quando sono stata a San Pietroburgo a visitare la casa dei suoi genitori ero sicura di poter sfatare questo aneddoto che Mura stessa dettagliava. Così, è lì che mi sono accorta che la strada di casa sua proseguiva per un’altra che cambiava nome ma che consentiva davvero di distinguere dove la stessero portando, visto che per arrivare al carcere doveva essere passata per forza sotto quel palazzo. E a quell’indirizzo preciso che lei segnalava, perché lì stava la prigione nel 1918. Ciò che più appare inventato è invece reale. E con lei è stato sempre così.

Se nello sfondo vi sono la Russia come il teatro europeo, ciò che emerge è il grande fascino di una donna che era stata resa partecipe di alcuni nodi storico-politici precisi. È qui che si apre la questione del doppio spionaggio di cui è stata accusata. Le cose sono più complesse di così?

Inizialmente non avevo dubbi che lei fosse rimasta viva dopo le esperienze con la Ceka proprio perché vendeva informazioni. In realtà ho potuto constatare come sia stata seguita dalle polizie di mezzo mondo. I russi la seguivano per le sue relazioni con gli inglesi e viceversa. Quando riesce ad arrivare in Estonia viene subito imprigionata perché il solo fatto che fosse potuta uscire dalla Russia bolscevica risultava equivoco. Quando arriva in Inghilterra viene intercettata, e al contempo a Parigi, quando va a trovare le sorelle, viene seguita dalla polizia francese. Negli archivi consultati, i faldoni su di lei si compongono di centinaia di pagine ma la conclusione per tutti è la stessa: non c’era nessuna evidenza lei avesse venduto qualcuno. Da un punto di vista dell’intreccio narrativo sarebbe stato molto meglio trovare la conferma del suo essere una spia. Quel che è certo è che era una sorta di ponte tra diversi mondi, cioè restituiva la temperatura storica e sociale dei luoghi che abitava e ne parlava. Ciò che l’ha tenuta in vita è stata certamente, più dell’astuzia, una intelligenza del cuore, l’istinto animale di sapere chi aveva di fronte. A chi potersi affidare. E c’è anche un’altra cosa, tutti la dipingono superba, dotata di coraggio umano straordinario eppure di un’altra altezza.

Nel titolo originale del suo romanzo, «Moura, la mémoire incendiée», c’è l’esito della esistenza di questa donna e anche il lavoro letterario compiuto su di lei. La memoria lascia dietro di sé ciò che non è essenziale, insieme al bruciare che risponde a quanto accadutole negli ultimi giorni prima della morte, avvenuta in Toscana. Eppure, sembra volerci suggerire Mura, la memoria arde perché si deve sempre fare vivente altrimenti che importa arrivi fino a noi?

Nell’estate del 1974, dopo aver salutato gli amici nella sua casa londinese e aver preparato undici grandi scatole piene di documenti, parte alla volta dell’Italia. Aveva 81 anni e, sentendo le sue forze venire meno, raggiunge il figlio Paul trasferitosi ad Arezzo. È lui che le trova una sistemazione in un piccolo albergo di Montevarchi, facendole sistemare le scatole in una roulotte dinanzi alla locanda e consentendole di avere l’agio di un luogo in cui poter studiare. Una notte di temporale a causa di un cortocircuito la roulotte prende fuoco e dei manoscritti non è rimasto più niente. Questo è ciò che riferiranno lei stessa e i figli, seppure nell’archivio dei vigili del fuoco di Montevarchi non risulti nessun incendio in quei giorni e neppure in quelle settimane. Sta di fatto che poco dopo, il 31 ottobre del 1974, muore fra le braccia di Paul e della figlia Tanja. Per evitare domande e indagini, Paul prenderà il corpo di sua madre e lo porterà nel suo podere per fare sì che risulti sia spirata lì. L’elemento romanzesco è presente fino alla fine, così come questo punto dell’omissione che sembra una bugia ma non lo è. Bisogna sempre esercitare la memoria, anche se non impariamo niente dagli orrori della storia.