La Corte d’Appello di Milano ha assolto ieri gli imputati del caso Antonveneta dalle accuse di manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all’autorità di vigilanza scaturite dalle operazioni di finanza strutturata «Alexandria», «Santorini», «Chianti Classico» o «Fresh». Tali operazioni sono state realizzate tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite provocate al Monte dei Paschi di Siena (Mps) dall’acquisizione della banca. Secondo l’accusa sarebbero servite a Mps per occultare un «buco» di bilancio di 2 miliardi di euro, derivante dall’acquisizione di banca Antonveneta, pagata 9 miliardi di euro.

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LA SENTENZA ha riguardato l’ex presidente di Monte dei Paschi di Siena (Mps) Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni, le banche Deutsche Bank (filiale londinese) e Nomura. In primo grado, l’8 novembre 2019, Mussari era stato condannato a 7 anni e 6 mesi. In appello la procura generale di Milano aveva chiesto di confermare la condanna con una riduzione della pena a 6 anni e 4 mesi per la prescrizione di alcuni episodi. Nella sentenza di ieri sono state revocate le confische per circa 150 milioni. «Sono molto contento che alla fine sia caduto l’ultimo pilastro di questa vicenda montata sulle menzogne di personaggi privi di scrupoli» ha commentato Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell’area finanza di Mps. «Ha sorpreso le difese degli imputati, lo sono anche le parti civili danneggiate. Bisogna leggere le motivazioni» ha detto uno dei legali dei risparmiatori.

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TRA CRISI E RISANAMENTI il Monte dei Paschi di Siena è in una situazione molto problematica da quasi 15 anni, quando fu acquisita Antonveneta nel 2007. Di solito è questo l’anno al quale si fa risalire l’inizio della crisi della banca più antica del mondo. Per molti osservatorii è iniziata nel 2002 quando i vertici della banca sottoscrissero le operazioni «Santorini» e «Nota Italia». Nel 2005 l’acquisto del bond «Alexandria» ha approfondito la crisi. Nel 2008 la Banca d’Italia iniziò a occuparsi dell’operazione «Fresh» usato per aumentare il capitale e rilevare Antonveneta. Nel 2009 i titoli «Alexandria» sono stati venduti a Nomura provocando perdite pesanti. Nomura spalmò il debito su un arco di trenta anni e opzionò 1,9 miliardi di Tremonti bond promettendo il rimborso nel 2012. A ottobre Bankitalia intensificò il vaglio della liquidità di Mps e, mel 2010, avviò una prima ispezione. Alla banca fu chiesto un aumento di capitale. A ottobre scattò una forma «commissariamento» con richiesta di aggiornamenti quotidiani della liquidità. A luglio 2011 la Fondazione Mps sottoscrisse l’aumento di capitale da 2 miliardi di euro.

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LA CRISI GLOBALE spinse la Fondazione Mps a vendere il 15% delle quote. Nell’aprile 2012 Mussari lasciò e arrivò Alessandro Profumo. L’inchiesta su Antoveneta iniziò a maggio 2013. Nel 2016 Mps non superò gli «stress test» dell’Autorità bancaria europea. Il 23 dicembre il governo Gentiloni salvò Mps con 5,4 miliardi (di cui 1,5 di rimborso agli obbligazionisti) nell’ambito del decreto «Salvabanche» da 20 miliardi di euro. Pesavano molto i crediti deteriorati nella «pancia» di Mps che, nel 2020, ha ceduto ad Amco 8,1 miliardi di questi prodotti finanziari. Nel 2021 si è affacciata l’ipotesi di una fusione con il gigante Unicredit. La trattativa è andata avanti alcuni mesi senza esito. Il governo Draghi ha confermato l’intenzione di vendere la sua quota di maggioranza e sostiene di «non svendere».

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