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Morto un re, si fa una regina Meloni prenota l’eredità

Morto un re, si fa una regina Meloni prenota l’ereditàGiorgia Meloni ai funerali di Silvio Berlusconi – LaPresse

L'unto nazionale Se non proprio l’Altissimo neppure soltanto un uomo. A Milano e su ogni schermo della Repubblica è andata in scena ieri una cerimonia multipla

Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 giugno 2023

Per mettere apertamente in scena il passaggio dello scettro Giorgia Meloni aspetta che il funerale sia finito. Poi bombarda le redazioni con un video di due minuti che parte con il celebre messaggio della discesa in campo, prosegue con una raffica di immagini del Berlusconi pubblico e privato, si conclude con una serie di quadretti in cui li si vede insieme, il patriarca e la legittima erede, unica politica a trovar posto nella rassegna, con tanto di impegno finale in sovrimpressione: «Ti renderemo orgoglioso».

Il re è morto, evviva il re, anzi la regina. La buonanima, ai bei tempi, si era fatta ungere direttamente dal Signore. L’erede, più modesta, si accontenta di quella del mortale trapassato, previa divinizzazione in piena regola.

Se non proprio l’Altissimo neppure soltanto un uomo. A Milano e su ogni schermo della Repubblica è andata in scena ieri una cerimonia multipla: esequie con tutti gli onori, santificazione del padre fondatore della destra ma anche incoronazione dell’erede, investitura sacralizzata con la dovuta solennità.

Il gioco non sarebbe riuscito senza la tutt’altro che tacita complicità di amici e nemici a pari merito, di istituzioni repubblicane pronte all’inchino e oppositori troppo spauriti per negarsi. Complice anche, va pur detto, la simpatia umana e il talento comunicativo del personaggio che un po’ contagiava anche i censori più inferociti e dei quali difetta invece la nuova sovrana. La lettera con cui ieri si è autonominata Silvia ad honorem trasuda una vendicatività astiosa, un revanscismo fuori luogo che il maestro della comunicazione avrebbe evitato. Inutile calcare la mano sugli sconfitti: «Alla fine di questa storia i suoi avversari hanno perso». Le celebrazioni di questi giorni si erano già incaricate di chiarirlo da sole.

IN QUEI TONI un po’ striduli incide una comprensibile preoccupazione: il padrone di Forza Italia aveva perso da un pezzo la presa sulla destra ma continuava a giocare un ruolo importante. Senza di lui il rischio di contraccolpi terremotanti è inevitabile. Per questo, oggi, il primo obiettivo di Giorgia Meloni è salvare Forza Italia da tutte le molte ombre addensate su Arcore. Dal crack economico. Dalle faide interne latenti in un partito diventato col tempo un cartello di bande in guerra. Dalle sirene che cercheranno di allettare i parlamentari azzurri in cerca d’autore e di seggio. Il miraggio di un partitone unico, un Popolo delle

Libertà a parti rovesciate con la destra al comando, non è del tutto inconsistente. Prima o poi potrebbe essere una via d’uscita necessaria, perché su una Forza Italia longeva non scommette proprio nessuno. Potrebbe persino rivelarsi un’arma preziosa, ma solo dopo le elezioni europee e dopo aver raggiunto l’obiettivo di una piena legittimazione dell’ex Msi in Europa. Questione di anni, non di mesi. Per il momento Forza Italia deve essere tenuta in vita e poco importa se sarà vita artificiale.

Bisognerà mettersi d’accordo con gli eredi in senso proprio, i pargoli a cui toccherà mantenere con decine di milioni un partito che senza il loro generoso aiuto chiuderebbe i battenti. Meloni ritiene però che accetteranno, in nome dell’interesse superiore dell’azienda che di un governo amico ha bisogno: tradizioni familiari da onorare e rispettare.

I REFERENTI PRINCIPALI sui quali punta la premier sono quattro: la stessa Marina, Gianni Letta, Antonio Tajani e Marta Fascina. Un sondaggio appena sfornato conferma che gli elettori azzurri vorrebbero la primogenita al posto di suo padre, come si conviene in una monarchia. Con lei in campo qualche chances di sopravvivenza ci sarebbe ma quella porta è blindata.

La padrona del partito però è comunque lei, con o senza corona. Gianni Letta, il gran ciambellano, è governista per vocazione ed era tornato in campo già prima del luttuoso evento, dopo essere stato per un po’ relegato ai margini perché troppo draghiano. Tajani, il vicepremier, è una garanzia ma è anche un leader che tutti sanno essere troppo debole per domare l’arena azzurra. Marta Fascina, la quasi vedova, è un’incognita. Come senatrice si era fatta notare pochissimo ma negli ultimi mesi, grazie anche ai rapporti diventati strettissimi con Marina, ha tenuto le redini del partito con piglio insospettato, bastonando senza pietà i frondisti.

Nella partita sul futuro di Forza Italia, Queen Giorgia ritiene quindi di avere tutti gli assi in mano, anche perché oggi l’unica in grado di distribuire posti è lei. Sempre che non intervengano fattori esterni, come il Pnrr o i conti pubblici, a rovesciare il tavolo.

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