Di fronte al decadimento fisico, alla malattia e alla morte delle persone pubbliche, si aprono spesso nei media spazi di silenzio e riservatezza. Ciò sembra non poter avvenire per Silvio Berlusconi, attorno alla cui stanza d’ospedale si sono accalcate negli ultimi mesi e giorni stampa e televisioni di tutto il mondo.

Il motivo è semplice: fin dall’inizio della sua “discesa in campo”, egli ha scelto di mettere il corpo al centro della propria immagine politica. Anzi, il “ritorno” del corpo nell’arena della res publica è stata forse la caratteristica più vistosa della sua era, dopo che i protagonisti della Prima Repubblica i corpi li avevano nascosti, presentandosi all’opinione pubblica come puro “discorso”.

In generale, nell’intera Europa una certa incorporeità ha segnato i modelli di democrazia liberale, in contrapposizione alla fisicità carismatica costruita attorno ai leader totalitari, i cui corpi esibiti, ritualizzati, sacrificati, imbalsamati, trasformati in reliquia, talvolta simbolicamente degradati, erano stati al centro tanto della propaganda quanto della rivolta. Esemplari le vicende del corpo del Duce, incarnazione della virilità nazionalista ma anche inevitabile simbolo, a Piazzale Loreto, della dissacrazione del fascismo, e oggetto di dispute politiche perfino dopo la morte, con le torbide vicende della salma trafugata e ritrovata.

Berlusconi ha riaperto uno spazio di pubblica visibilità del corpo del leader, ma naturalmente in un contesto completamente diverso: quello della visibilità televisiva, di una netta prevalenza dell’immagine sulla parola, e di una conseguente radicale trasformazione delle forme dell’egemonia – delle sue tecniche e dei suoi protagonisti.

Fin dalla sua prima campagna elettorale, il corpo del leader di Forza Italia è stato al centro delle rappresentazioni mediali: non un corpo giovane e attraente, ma rassicurante, plasmato da trattamenti di chirurgia estetica e da effetti fotografici, pronto a mostrarsi nelle maschere più varie (si ricorderà l’ostentazione della bandana, che appariva ai tempi ancora scandalosa); persino testimone dell’odio dei “nemici”, come nell’episodio dell’aggressione del 2009 in piazza del Duomo a Milano.

Un corpo che ha perseguito l’estetica del “restare per sempre giovane” (sui trattamenti e sulle misteriose tinture dei suoi capelli c’è ormai un’intera letteratura). Ed è per questo che non è riuscito negli ultimi anni a trasformare la sua figura in quella di “vecchio saggio” o “padre nobile”, come i suoi consiglieri avrebbero auspicato.

Di fronte alla decadenza e oggi alla improvvisa scomparsa, e al dovuto cordoglio, rischiamo di dimenticare i tratti fondamentali di quel sistema comunicativo che per oltre vent’anni abbiamo chiamato “berlusconismo”.

In esso il corpo del leader non si presentava peraltro mai da solo, bensì combinato con figure femminili: mogli o amanti, seguaci politiche, showgirl televisive, accompagnatrici nelle “cene” che sono state al centro di tanti scandali, e persino parlamentari e ministre dei suoi governi.

Questi corpi, diversamente da quello maschile, dovevano essere belli. La promozione di donne di spettacolo in figure di rappresentanza politica è uno degli aspetti salienti del primo berlusconismo. Non si trattava qui solo di convertire in capitale politico una notorietà acquisita in ambito mediale (fenomeno, questo, sempre più diffuso in tutti gli schieramenti partitici e non solo in Italia): piuttosto, era il potere carismatico del leader che si diffondeva incarnandosi in corpi femminili attraenti, rispondenti cioè ai criteri estetici costruiti dalla Tv commerciale.

Gli scandali sessuali che hanno segnato gli ultimi anni del potere di Berlusconi mostrano in modo ancora più accentuato lo stretto legame tra la sua peculiare concezione del potere e il corpo femminile. Quanto siamo riusciti a saperne suggerisce scenari torbidi che per certi versi vanno al di là dello sfruttamento e della prostituzione.

Berlusconi ha incarnato un potere carico di erotismo e desiderio, e un desiderio che a sua volta trovava compimento nella possibilità del controllo totale, per quanto non violento (e il dilemma è se per le ragazze coinvolte si sia trattato di una libera agency emancipativa oppure di una coatta interiorizzazione di quello stesso potere).

L’immaginario politico si è concentrato per anni su questa dimensione dei festini e del bunga-bunga, per metà nascosta per metà ostentata, e sui cui dettagli si esercitavano all’infinito le morbose speculazioni dei giornali e dei loro lettori.

In una prospettiva di lunga durata, il periodo berlusconiano resterà nella memoria come connotato da questo rapporto fra corpo, immagini, potere ed erotismo (insieme, naturalmente, alla concezione del partito-azienda e al conflitto di interessi portato al centro stesso dello Stato). Uno scenario nuovo, esploso in Italia prima che altrove anche in virtù di alcuni tratti strutturali della nostra storia: la debolezza dello Stato e dei valori civici, le nette dicotomie politiche, l’intreccio di modernità e arretratezza che ha caratterizzato lo sviluppo novecentesco.

Qualcosa di molto diverso dal fascismo, al quale si è invano tentato di accostare Berlusconi; ma anche dal modello liberale, cui egli e molti suoi seguaci hanno sostenuto (e ancora oggi sostengono) di richiamarsi.

Troppo vaga e generica anche l’etichetta di populismo mediatico. Certo è che qualsiasi futura teoria politologica o antropologica sul fenomeno berlusconiano non potrà fare a meno di ripartire dalla dimensione del corpo e delle sue immagini.

Quella fase della storia italiana sembra oggi chiudersi, lasciando sì una eredità pesante, ma superata. Per dirla con una formula, l’egemonia non passa più principalmente dalle televisioni nazionali: e pare ormai obsoleto il contesto culturale in cui Berlusconi, con il proprio corpo e i corpi delle “sue” donne, con le sue aziende, i suoi testimonial, le sue multiformi immagini si era così profondamente incistato.