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Modugno, la voce che volò sull’Italia

Una raccolta di brani di Domenico ModugnoUna raccolta di brani di Domenico Modugno

Ricordi Trent'anni fa se ne andava uno degli artisti più noti dell’intero panorama musicale nostrano. Con le sue canzoni è riuscito a creare una vera e propria rivoluzione sociale

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 31 agosto 2024

Trent’anni fa, il 6 agosto 1994, dopo dieci anni di sofferenze a causa di un ictus, se ne andava nella sua casa di Lampedusa Domenico Modugno, una delle voci più riconoscibili e note del panorama musicale italiano. Un gentiluomo la cui passione per la vita lo accompagnò fino alla fine e che negli ultimi anni seppe fare della sua disabilità un manifesto di rivoluzione, anche a livello parlamentare (fu eletto senatore della Repubblica), così come riuscì a creare una vera e propria rivoluzione sociale con la sua musica. Partendo da lontano, da quelle radici della sua Puglia che gli permisero di avere una intuizione unica. Basti pensare infatti a quanto sia stata importante la sua incursione nel campo della musica popolare, andando a recuperare e creando un repertorio etnomusicologico di assoluto interesse.

GLI ESORDI
Come è noto, all’inizio della sua carriera, dopo essere approdato a Roma, Modugno si industria per capire come poter fare successo. Riesce così ad ottenere uno spazio presso l’emittente radiofonica di stato e durante una sua esibizione viene ascoltato da Frank Sinatra che s’innamorò del suo modo di cantare, cosa che gli permise di entrare da protagonista in Rai, dove si esibiva cantando delle canzoni in uno strano idioma, che sembrava siciliano ma che in realtà era il dialetto salentino. Qui il suo primo «miracolo», un cantante che porta in Rai canzoni dialettali che diventano dei veri e propri successi.
Arrivano le prime incisioni per la Rca; fra il 1954 e il 1956 ha una frenetica attività di studio e tante sono le canzoni registrate che portano titoli semplici come le storie che narrano: La cicoria, Musciu niuru, Lu pupu, Lu pisce spada, La barchetta dell’ammuri, Lu magu delle rose, Cavadruzzu, Scaracagnulu, Lu sciccareddu ’mbriacu, Lu tamburreddu, Cavaddu cecu de la miniera. Sono canzoni comuni, storie quotidiane, la pesca, il mulo, il cavallo, ma segneranno quella che sarà la sua idea compositiva: recuperare materiale popolare. Non è possibile sapere quali fossero le tracce usate da Modugno ma è certo che il fatto di usare un linguaggio spacciato per siciliano e che invece appartiene a quello che aveva ascoltato a San Pietro Vernotico e non solo, lo rese fondamentale, e quella intuizione arrivò ben prima di ciò che poi divenne patrimonio negli anni Sessanta/Settanta di gruppi di ricerca sulla musica popolare. Tutto questo gli consentì di conquistare il pubblico italiano attraverso la radio nonostante andasse contro tutte le tendenze della canzone di quel periodo e al contempo è importante per comprendere come Modugno divenne Domenico Modugno.

L’AZZARDO
È in questo periodo che crea capolavori come Magaria, La sveglietta, La donna riccia e soprattutto Vecchio Frack, brano del 1955 che incise assieme ad una delle sue prime canzoni di successo in italiano, Sole sole sole. Vecchio Frack, va ricordato, fu una canzone che si ispirava a una storia di cronaca, ma il senso teatrale che evoca, quella incredibile sonorità del fischio iniziale e quella sorta di ritmica cantata resero questa canzone una vera novità. Mai si era pensato di cantare di un suicidio di un nobile italiano, per di più in uno stile che non era né quello jazzy né quello melodico del tempo, mai un fischio era stato l’incipit di un brano che viene poi definito dalla voce e dalla chitarra usata anche come percussione. Una follia, un azzardo.

VEDI NAPOLI
E invece Modugno ebbe ancora una volta ragione. Pescando proprio da quella idea di linea melodica semplice, popolare. Come tutto quello che aveva scritto fino ad allora. È probabilmente forte in lui la convinzione che la canzone dovesse essere parte portante della vita delle persone ma senza stravolgere, senza troppi artifici, anzi doveva essere come una ninna nanna. Come la sua primissima Ninna Nanna che fece innamorare Sinatra, in una lingua di suoni antichi. Per lui era importante il suono della parola, cosi come farà con l’uso della lingua napoletana. Lui pugliese, forte di quella incredibile ricerca idiomatica che gli permise di essere presente sulla ribalta nazionale, a un certo punto della sua carriera inizia a scrivere canzoni in napoletano. Come Mese ’e settembre con i versi scritti da Riccardo Pazzaglia che gli sarà sodale, così come succederà per Nisciuno po’ sapé e per Io mammeta e tu che fu poi il lato b di Musetto, altro piccolo capolavoro.
Proprio con questo disco chiude la collaborazione con la Rca per passare alla Fonit. Per l’etichetta della Rai quello che conta è riportare a casa i suoi primi successi radiofonici, pertanto Modugno incide con nuovi arrangiamenti molte canzoni in dialetto salentino. E nel frattempo scrive Resta cu mme, ancora una canzone di grande bellezza su testo di Dino Verde, preceduta da Lazzarella e da Strada ’nfosa, brano ricco delle sensazioni delle prime canzoni e per la quale scrive da solo il testo. Il passo è breve, siamo vicini al 1958 e a quel Sanremo che affermò la sociale rivoluzione di Domenico Modugno. Il Sanremo in cui trionfa e che lo consacrerà a livello mondiale con la canzone Nel blu, dipinto di blu (Volare); ancora, però, non smetterà di scrivere in napoletano ma la lingua degli inizi non la userà più. Eppure ci sono delle canzoni che riportano quelle uniche sensazioni di allora incise nell’album del 1973 Il mio cavallo bianco. Forse il suo capolavoro che contiene proprio Cavallo bianco, rarissimo esempio di poetica musicale in italiano ma ricco di riferimenti a quella antica lingua del Salento. Oggi, per quanto ci riguarda, Modugno è ancora vivo, così come le sue canzoni immortali e meriterebbe di essere studiato nella giusta misura. Meriterebbe che i suoi non pochi inediti vedessero la luce e che, soprattutto, si facesse il punto sulla sua grande e unica creatività, di un uomo che fece della musica la sua bandiera sociale e che oggi più che mai sarebbe baluardo sicuro. Proprio come colui che portò l’Italia verso il futuro. Volando verso la luna, appunto.

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