Cultura

Mirella Bentivoglio, il potere magico delle parole

Mirella Bentivoglio, il potere magico delle parole«Vuoto al centro (Amore)», 1966

Mostre La rassegna al Museo Laboratorio dell'università La Sapienza, curata da Ada De Pirro e Angelandreina Rorro, indaga l'attività verbovisuale dell'artista a partire dalla collezione Garrera

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 ottobre 2019

Lettere che cadono, s’impuntano, aprono varchi, cercano spazio, formano mondi, invitano a «bucare» la superficie della pagina. L’alfabeto che si spezza per far sì che chi legga possa soppesare le parole, ritrovare la loro sorgente vitale, la loro «oggettualità» e potenza magica nel modellare i pensieri. Così una semplice «O» può affascinare per la sua perfezione e richiamare l’uovo come scultura-matrice, oppure una «A» spianare strade non solo alfabetiche, ma costellazioni concettuali, custodendo dentro di sé l’archetipo dell’aleph.

«Decodificazione gestuale», 1974, courtesy Latitudo Art Project

Mirella Bentivoglio, artista, critica, storica e poetessa, scomparsa due anni fa all’età di 95 anni, ha lucidamente indagato, nel corso delle sue ricerche appassionate, universi contigui, interrogandosi sul linguaggio e rendendolo opera autonoma, sempre per via di sottrazione e in opposizione alle ridondanze. La sua produzione verbovisuale – che spaziava dai ritmi ironici di versi anche tradizionali ai calligrammi giapponesi, giocando con l’interpretazione – può essere letta come una resistenza (o dissoluzione) del significato-feticcio. La ribellione è condivisa con lo spettatore, chiamato a un ruolo attivo, come un Teseo che deve afferrare il filo e riavvolgerlo. A riproporre l’attività verbovisiva di Mirella Bentivoglio c’è ora una mostra a Roma presso il Mlac della Sapienza (visitabile fino al 3 novembre): Oltre la parola, per la raffinata cura di Ada De Pirro e Angelandreina Rorro, indaga quello scardinamento del logos «pescando» le opere dalla collezione dei fratelli Garrera, Gianni e Giuseppe, i quali – partendo dagli esordi – hanno raccolto la produzione dell’artista, seguendola in ogni fase di sviluppo. C’è anche un’immagine fotografica di Mirella bambina, dodicenne, che si improvvisa come una Hitler stralunata.

La rassegna-studio al Museo Laboratorio attinge alle fonti e attraverso foglietti volanti riempiti con le note minuziose di Bentivoglio, racconta lo zampillare dell’idea, la sua «sillabazione», il costituirsi stesso dell’opera che poi si vede esposta – come testimoniano i dattiloscritti di Vuoto al centro (Amore) del 1966.
Ma fare una mostra che gira intorno a una collezione significa anche entrare in relazione con il principio del desiderio che ha guidato e sottende a quella raccolta. L’allestimento lo rispetta: se i fratelli Garrera si dichiarano sedotti dall’occupazione poetica dei muri e dalla fisicità delle lettere, Oltre la parola non tradisce quella loro prima scintilla d’affezione.

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