«Ministro Orlando, fermi l’estradizione di Pizzolato»
Italia/Brasile Il caso del sindacalista detenuto nel carcere di Modena
Italia/Brasile Il caso del sindacalista detenuto nel carcere di Modena
Per il sindacalista Henrique Pizzolato, è iniziato «un angosciante conto alla rovescia». Così, i volontari della comunità cristiana di base del Villaggio di Modena definiscono queste ultime ore di attesa per il cittadino italo-brasiliano, detenuto nel carcere di Modena.
Dopodomani, Pizzolato verrà estradato nella prigione di Papuda, in Brasile: sempreché il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, non decida di sospendere il provvedimento. E’ già andata così lo scorso 7 ottobre, e ora la comunità di base modenese spera in una nuova sospensione. Nei giorni scorsi, hanno scritto al ministro anche i legali del sindacalista, ricapitolando le ragioni che hanno portato numerosi giuristi, movimenti, senatori (tra i quali Maria Cecilia Guerra e Luigi Manconi) a ritenere quella di Pizzolato una vicenda di giustizia negata.
Pizzolato è stato condannato in Brasile a oltre 12 anni, in un processo per tangenti detto del Mensalao. «Hanno colpito me per colpire Lula», ha dichiarato a più riprese il sindacalista negando ogni coinvolgimento. Una difesa che i suoi legali avrebbero proseguito nel processo di appello, se la sentenza non fosse stata emessa da un tribunale che non prevede altri gradi di giudizio e che ha coinvolto Pizzolato benché non rivestisse incarichi politici. «Anche solo questo balletto di ultimatum e rinvii basterebbe a rivelare l’anomalia del processo di estradizione a cui il Governo sta sottoponendo un suo cittadino e l’indifferenza nei confronti della sua dignità di essere umano», scrivono al ministro i volontari modenesi. I tribunali – aggiungono – possono «definire a quali condizioni l’estradizione è formalmente corretta, ma è lei a dover stabilire se è giusta».
Una vicenda complessa, quella del sindacalista, che si è rifugiato in Italia sperando in una maggiore imparzialità. Gli elementi forniti dalla difesa di Pizzolato sono stati accolti da alcuni tribunali italiani (la Corte d’Appello di Bologna e, in un primo momento, il Consiglio di Stato) e rifiutati da altri (la Corte di Cassazione e, in seconda battuta, il Consiglio di Stato): segno che – rileva la comunità cristiana – «anche la valutazione “tecnica” degli organi giudiziari italiani è tutt’altro che unanime».
Più di tutto, però, preoccupa la pericolosità delle carceri brasiliane: ancora molto indietro nonostante gli sforzi compiuti dai governi progressisti, prima di Lula e poi di Rousseff. I legali del sindacalista hanno allegato cifre, dati e crude immagini, che documentano il pericolo a cui verrebbe esposto il loro assistito: obbligato a subire standard di vivibilità molto al di sotto di quelli richiesti dal Comitato di prevenzione contro la tortura. Lo sostiene proprio la relazione dell’onorevole Renata Bueno, una di quelli che più spinge per estradare Pizzolato. Al riguardo, la comunità di base modenese denuncia «il gattopardismo politico senza scrupoli», ma anche «il ruolo che nell’”affare Pizzolato”, al pari dei grandi interessi internazionali, hanno giocato, probabilmente, più meschini interessi di carriera politica».
La parola passa ora al ministro Orlando: che potrebbe decidere di aspettare almeno la risposta del Tar e della Corte europea in merito ai ricorsi presentati da Pizzolato contro il provvedimento di estradizione.
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