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L’ex ministro degli esteri Kotziàs: «Temiamo l’astensione»

L’ex ministro degli esteri Kotziàs: «Temiamo l’astensione»L'ex ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias

Intervista L’ex ministro degli Esteri Nikos Kotzias: «Non governeremo con Nea Democratia. Il problema non è conquistare i moderati, ma convincere gli indecisi, soprattutto i giovani delusi»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 settembre 2015

Chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare», dichiara al manifesto Nikos Kotziàs, ministro degli esteri del governo di Alexis Tsipras. Candidato nella speciale “lista chiusa” proporzionale in cui vengono inseriti i nomi più autorevoli di ogni partito, Kotziàs è ben cosciente che il nemico principale da battere, per Syriza, è l’astensionismo e la tentazione dei giovani che hanno sostenuto il no al referendum di luglio, di non andare, domenica prossima, a votare. «Nei due anni passati, la destra greca ha ignorato la questione dei flussi migratori», sottolinea l’ex responsabile della diplomazia ellenica, il quale ribadisce anche che la Coalizione della sinistra radicale greca non governerà con Nuova Democrazia, e che continuerà, invece, a «sostenere i cittadini in forte difficoltà».

La campagna elettorale termina questa sera. Come l’ha vissuta e che previsione si sente di fare?

A mio parere, in questa tornata elettorale l’elemento più importante non è conquistare gli elettori moderati, come qualcuno dice, intendendo un numero importante di elettori che potrebbe essere indeciso se votare Syriza o Nuova Democrazia. Quello che ci interessa maggiormente è convincere i cittadini che a gennaio hanno votato Syriza, che a luglio hanno votato no al referendum, e che oggi sono indecisi tra votare Syriza o scegliere l’astensione. Una gran parte di queste persone sono giovani che hanno acquisito una forte coscienza politica attraverso il no, che non sempre hanno compreso le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e ora sono dibattuti tra il sostenerci e il non andare a votare. Negli anni della crisi i giovani non avevano preso parte alle iniziative della società civile con il dinamismo che ci saremmo aspettati. Il referendum, invece, è riuscito a politicizzare una grandissima parte della nuova generazione, cosa che non era mai successa nel corso degli ultimi dieci anni. Purtroppo, non è bastato questo no, espresso dal 61 per cento dei greci, per risolvere tutti i problemi. Credo che anche i giovani, accumulando una serie di esperienze politiche, capiranno che la nostra lotta diventa più complessa, con un orizzonte temporale più lungo, e richiede molta resistenza e grande determinazione.

Lei è un diplomatico esperto ed è stato a capo del ministero degli esteri. Come vede la grande questione dell’immigrazione, su cui l’Europa non trova un accordo e che costituisce anche uno dei principali punti di scontro tra Syriza e Nuova Democrazia?

Già da febbraio avevo posto con forza, nella riunione dei ministri degli esteri dell’Unione, la questione di un nuovo approccio ai flussi migratori, e c’è stato chi ha detto che volevo impedire all’Europa di affrontare i suoi grandi problemi. Ci sono stati anche grandi giornali italiani che hanno scritto, addirittura, che volevamo ricattare l’Europa con i migranti. Oggi l’Ue, che non ci ha dato ascolto, affronta questo enorme problema con un fortissimo ritardo. Purtroppo manca una strategia complessiva, per comprendere dove stiamo andando e come devono essere trattate le grandi questioni geopolitiche. Bisogna ricordare, poi, che l’Onu sosteneva i campi profughi in Libano, in Giordania, e anche al confine tra Siria e Turchia. Ma le Nazioni Unite stanno affrontando una evidente crisi economica, non ricevono più finanziamenti adeguati e hanno ridotto in modo drastico i loro aiuti a profughi e rifugiati. Centinaia di migliaia di persone che si trovavano in questi campi hanno chiesto, quindi, aiuto all’Europa, arrivando nei nostri paesi. La destra greca deve abbassare subito i toni e deve comprendere la dimensione europea e internazionale di questo problema.

Sinora non è successo?

Certo che no. In più Nuova Democrazia, malgrado gli arrivi di migranti e profughi sulle nostre isole siano aumentati sensibilmente già da due anni, a causa della guerra in Siria, quando era al governo non ha preso assolutamente nessuna iniziativa e non ha neanche proceduto a una registrazione delle dimensioni del fenomeno, che avremmo potuto presentare in modo ufficiale. Negli ultimi sei mesi abbiamo dovuto creare il quadro istituzionale richiesto dall’Unione europea per poter avere dei finanziamenti. Vorrei fare, poi, anche una considerazione più generale: ci sono paesi che decidono di scatenare le guerre e popoli di altri paesi che, senza avere nessuna responsabilità, ne pagano le conseguenze. Dobbiamo lavorare per delle soluzioni che tengano conto dei problemi sociali e geopolitici di queste aree, per prevenire nuovi esodi di profughi e migranti in futuro.

Come vede gli equilibri e le alleanze post-elettorali, nel caso in cui Syriza non dovesse riuscire ad assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi?

I signori che accusano Syriza di essere pronta, in realtà, a formare un governo con Nuova Democrazia – è una menzogna, e lo ha detto molto chiaramente Alexis Tsipras e anche io nei miei interventi – sono gli stessi che nel 1989 hanno preparato e imposto la coabitazione al governo di Nuova Democrazia con la sinistra di allora, il Synaspismòs. Bisognerebbe vergognarsi a sostenere simili cose, mi verrebbe da dirgli «Vergogna, o Argivi», come scrivevano anche i nostri antenati. In questo momento, comunque, il problema principale non sono le alleanze post-elettorali, la questione fondamentale è che Syriza deve compiere, in queste ore che ci rimangono fino all’apertura dei seggi, un grande sforzo per far arrivare il suo messaggio a tutti gli elettori, per rendere certa e rafforzare la vittoria, puntando sulle misure che aiuteranno realmente i cittadini greci, e che li convinceranno a sostenerci anche questa volta.
Pensa, quindi, che ci sia realmente lo spazio di manovra per gestire il compromesso con i creditori, senza far ricadere il peso maggiore dei sacrifici sulle classi sociali più deboli?
Sì. Ad esempio, nel corso della durissima trattativa di Bruxelles siamo riusciti a far rimanere sotto il controllo pubblico una parte delle infrastrutture e del personale della società greca di energia elettrica, come anche la gestione della rete. Il nostro ottimismo, quindi, è realistico. Continueremo a sostenere i cittadini in forte difficoltà, con aiuti per poter comprare gli alimenti, per pagare l’affitto, per potersi assicurare il riscaldamento. Per gli agricoltori, poi, Alexis Tsipras ha appena annunciato un programma che partirà quest’anno e si concluderà nel 2020 e che mira ad aiutarli con misure concrete.

Syriza è ancora in grado di rivendicare la sua diversità, quella di una forza di sinistra, in una Europa governata dai socialisti e dai partiti di centrodestra?

Deve assolutamente farlo, e dobbiamo tutti tenere a mente, comprendere profondamente una cosa: chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare.

Cosa dice a chi è indeciso se votare Syriza o Unità Popolare, creata dai suoi ex compagni di partito che hanno deciso di percorrere una strada diversa?

Non credo che, ormai, ci siano molti indecisi in questo senso. Sono appena stato a Sèrres, nella Grecia settentrionale. Anche li, come in tutti gli ultimi giorni, i cittadini con cui ho parlato, e mi hanno detto di essersi convinti a votare Unità Popolare, sono davvero pochi. A chi è tentato di astenersi, dico che il non voto corrisponde a due voti in favore della destra: con l’indebolimento di Syriza, una forza realmente alternativa, ed il sostegno indiretto fornito ai conservatori, a chi non ha fatto nulla per cambiare la Grecia.

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