La dolorosa occasione della scomparsa di Filippo Maone può essere utile oltre che per ricordare la sua figura di militante e di intellettuale anche per analizzare un aspetto della nostra storia che forse merita di essere posto in rilievo.

Come molti ricorderanno Filippo fu autore con Lucio Magri di uno studio sulla composizione organizzativa del PCI alla fine degli anni’60: un testo pubblicato – se non ricordo male – nel primo numero della rivista quando quello che sarebbe stato il nucleo promotore era ancora interno al Partito.

Quel lavoro di indagine sociologica mostrava due elementi di grande importanza: come alla fine degli anni’60 il PCI risultasse in discesa dal punto di vista del numero degli iscritti (quindi come la “nuova” classe operaia della fabbrica fordista e dell’urbanesimo non si fosse rivolta direttamente al PCI, come del resto avevano dimostrato episodi di lotta susseguitisi nel decennio) e come mutasse la composizione sociale degli iscritti al partito emergendo in esso settori di classe media e di nuova scolarizzazione.

Un lavoro anticipatore di tendenze che poi avremmo visto emergere nei ’70 successivi e che, con l’analisi della modernizzazione capitalistica sviluppata nel corso del confronto interno al PCI a partire dal convegno del Gramsci del 1962, contribuisce a farci leggere la storia del Manifesto non come quella di un gruppo “eretico” nel senso della testimonianza ma di una sede di anticipazioni di tendenze sociali e politiche che hanno comunque fornito, anche da posizioni minoritarie, un esempio di quella connessione tra analisi sociale, cultura, proposta politica che oggi si è completamente smarrita lasciando posto , nel migliore dei casi, all’improvvisazione.