Miles Davis e la musica del futuro
Note sparse L’ultimo inedito del grande trombettista, un «live» registrato il 21 luglio 1991 due mesi prima della morte. Testimonianza storico-sonora della sua seconda stagione elettrica, in quartetto ma senza chitarrista
Note sparse L’ultimo inedito del grande trombettista, un «live» registrato il 21 luglio 1991 due mesi prima della morte. Testimonianza storico-sonora della sua seconda stagione elettrica, in quartetto ma senza chitarrista
Dobbiamo davvero ringraziare Miles Davis e titolo più giusto non poteva essere che Merci Miles! Live at Vienne (Rhino Rec.) per l’ultimo inedito pubblicato. Il 25 giugno (doppio cd o vinile, download e streaming su ogni piattaforma digitale) è comparsa questo recital del grande trombettista, inciso il 1° luglio 1991 in Francia, al Vienne Festival, quando nessuno immaginava che Davis sarebbe presto scomparso di lì a poco più due mesi (28 settembre). Sempre a luglio ‘91, il ministro francese della cultura Jack Lang lo aveva nominato «Cavaliere della Legione d’Onore» e le vicende di quel periodo sono ben ricostruite dal critico Ashley Kahn nel booklet allegato; l’edizione di Merci Miles! Live at Vienne, peraltro, è stata programmata durante la celebrazione del Black History Month e la Rhino Records ha aggiunto Davis ad altre uscite significative (Aretha Franklin, Curtis Mayfield, Nina Simone, Ray Charles).
L’ALBUM è importante per un duplice motivo. In primo luogo come testimonianza storico-sonora concreta della seconda stagione elettrica di Miles Davis, periodo in cui – pur essendo diventato quasi una pop-star – il trombettista continuava a sfornare musica volta al presente e al futuro. In questo senso Live at Vienne è utile per far conoscere a tanti giovani appassionati e studenti di jazz che non esistono solo il trombettista 19enne con Charlie Parker, il leader della Tuba Band matrice del cool jazz, il condottiero di quintetti formidabili negli anni ’50-’60, l’alfiere del jazz modale (Kind of Blue). C’è anche un Miles Davis jazz-rock (da Bitches Brew in poi) che negli anni ’70-’90 ha prodotto jazz tutt’altro che passatista. «Gli studi [di registrazione] sono troppo freddi, si suona in un altro modo (…) Io vorrei sempre registrare dal vivo» dichiarò negli anni ‘80 il trombettista al critico francese Francis Marmande. È quanto accade nel live al festival di Vienne e la sua scaletta è un perfetto specchio del repertorio (70 brani nel decennio 1981-’91) e delle scelte stilistiche di quel periodo, suonata con energia e interplay da un quartetto senza chitarra elettrica: Kenny Garrett (sax), Deron Johnson (tastiere), Foley (basso) e Ricky Wellman (batteria). Il recital inizia con Hannibal, brano del bassista Marcus Miller che prese il posto di Gil Evans e ben lavorò per l’album Tutu (tra i migliori dell’ultima stagione). Pezzo esteso, dal semplice groove di base, ricco di dinamica e accattivante, giocato in un fitto intreccio con Garrett. Seguono le «nuove» ballad di Miles (Human Nature, Time After Time) in cui il trombettista espande il suo lirico solismo in intro, code o pedali. Anche Amandla (6° brano) di Miller ha il carattere di una ballad ma dallo slow passa presto al medium funky.
CON «PENETRATION» si risignifica il repertorio di Prince – Davis tentò una, fallita, collaborazione con il chitarrista – mentre l’originale Wrinkl ha un groove adrenalico e gioca su tempi (e temi) lenti o iperveloci. Prima del finale (lungo assolo del batterista Wellman) il trombettista si muove a suo agio sul rock-blues di Jailbait, ancora di Prince. Pubblico entusiasta per un artista sempre proteso in avanti, fino alla morte.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento