Milano – Sanremo. Le frittelle di Bartali e i polli di Renzo
Ciclismo Jasper Stuyven trionfa nella classica e conferma lo stato di salute eccelso del movimento belga. Per l’Italia, invece, la situazione è quella che è
Ciclismo Jasper Stuyven trionfa nella classica e conferma lo stato di salute eccelso del movimento belga. Per l’Italia, invece, la situazione è quella che è
Trecento chilometri che separano l’inverno dalla primavera, le cimase ingrigite delle città dagli orti coi limoni, la terra stanca di pioggia dal brilluccichio del mare. Questa è la Milano-Sanremo. Quei trecento chilometri hanno separato anche la guerra dalla pace, era il ’46. Il naso di Coppi spuntò solitario dalla galleria del Colle del Turchino per annunciare al paese che sì, era tutto finito per davvero. Di tempo per pensare a quello che ci si lasciava alle spalle ne ebbero, Coppi e l’Italia: il resto della concorrenza fu talmente disperso che Niccolò Carosio annunciò alla radio, in attesa della volata dei piazzati, musica da ballo. All’epoca la Classicissima si correva il giorno di San Giuseppe, quando in Toscana si mangiano le frittelle di riso. Chissà quante ne ha mangiate in vita sua Bartali, e quante ne mangiò il giorno di San Giuseppe del ’50. Non più giovane e, con l’età, ancora più scontroso, un tratto acuito l’anno prima dalla definitiva consacrazione all’Olimpo di Coppi (prima doppietta della storia Giro/Tour), trovò la forza per mettersi alle spalle il giovane leone Van Steembergen in volata generale, il terreno meno congeniale al fiorentino. Anche i francesi hanno avuto i loro Coppi e Bartali, Anquetil e Poulidor. Aristocratico e moderno il primo, appassionato di champagne e belle donne, contadino aquitano il secondo, con la fiaschetta dell’aceto da sciogliere nell’acqua calda contro il mal di gambe. Non ci fu, però, partita, Anquetil vinceva sempre. Fino al ritiro, che Poulidor, più giovane, avrebbe sfruttato volentieri. Non fosse stato che in quella irruppe Merckx: inutile raccontare il seguito. Poulidor ha lasciato al ciclismo un erede in suo nipote Van der Poel, che come il nonno affronta la stagione intera in cerca dell’impresa. Da un anno ormai si spartisce tutte le corse grandi col francese Alaphilippe e il belga Van Aert. I tre si ritrovano alla partenza di Milano, e non si parla che di loro.
NEL CICLISMO DI OGGI di oggi di tempo per pensare ce n’è poco. Assente per frana il Turchino, sostituito dal Giovo, i corridori arrivano come una mandria di bufali all’imbocco dell’Aurelia, fanno a rotta di collo i capi Mele, Cervo e Berta, la Cipressa, e poi chi ne ha di più tenta l’allungo sul Poggio. Un bussolotto di dadi sballottati tra gli ulivi e i muri a secco, da cui però non esce vincente il più fortunato, ma il migliore. O, in questo caso, il più scaltro e coraggioso. Succede infatti che i tre grandi fanno fare ai loro uomini corsa all’incontrario. Spinti dal vento, i primi 280 km volano a medie folli. Ma, in vista delle asperità finali, una volta riassorbita la fuga di giornata, comincia una tregua che risulterà loro fatale. A rompere gli indugi sul Poggio è Alaphilippe, quasi per onor di firma. Su di lui è subito Van Aert, mentre Van der Poel fatica un po’ di più, per via di una distrazione che gli ha fatto imboccare intruppato l’ascesa decisiva. Neppure riescono a staccare un velocista come Ewan, spauracchio che a quel punto impiomba le ruote al resto della compagnia. Alla fine della discesa che riporta quel che resta del gruppo sull’Aurelia, a un paio di chilometri dal traguardo, comincia un becchettio tra polli di Renzo. Ne approfitta Jasper Stuyven, fiammingo solido ma fino ad ora non eccelso, che approfitta del minuetto dei big per piantare in asso la compagnia e trionfare a braccia alzate. Da Sanremo esce la conferma dello stato di salute eccelso del movimento belga. Per l’Italia, invece, la situazione è quella che è. Ganna primeggia in pista e nelle crono. Speriamo gli diano il via per fare tutto l’anno corsa libera. La sua squadra è stata, nelle salite, la più incisiva, e non si capisce perché lo abbiano sfruttato da gregario, se poi dei suoi nessuno è andato vicino al piazzamento. Nibali nostro porta a spasso in bicicletta la sua gloria, in attesa del bel gesto che gli permetta un commiato adeguato. Ci ha fatto divertire, in carriera, forse più di quanto ha vinto. E non ha vinto poco, considerando che ha corso in un’epoca non sua, di squadroni allestiti per una corsa l’anno e di ciclismo bloccato e tattico. Viene da pensare che, fosse più giovane, si troverebbe più a suo agio nel confronto coi giovani arrembanti di oggigiorno.
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