«Nelle elezioni di Mid term i democratici non hanno vinto, ma il Gop ha perso», commenta il New York Times. Il presidente Joe Biden ha salvato il Senato e la faccia. Ma ha capito che lo deve a una ribellione di buona parte della popolazione contro gli attacchi alla democrazia di Trump e del suo Maga. Questo risultato quali prospettive apre per i paesi a sud del Rio Bravo?

Per Cuba, la sempre più concreta possibilità che finalmente Biden mantenga la promessa, fatta più di due anni fa in campagna elettorale, di riprendere la politica di Obama di «compromesso costruttivo» con l’isola, raccogliendo la disponibilità del vertice socialista cubano a trattare con Washington.

I segnali di un tale cambio sono avvenuti proprio durante la campagna per le recenti elezioni: per la prima volta, dopo essere stata investita dall’uragano Ian, Cuba ha accettato l’aiuto economico (due milioni di dollari) offerto da Usaid, istituzione accusata da sempre di essere un braccio della Cia. Due settimane fa sono ripresi i colloqui bilaterali ad alto livello sullo scottante tema migratorio e hanno portato all’annuncio che l’Ambasciata Usa all’Avana il 4 gennaio riprenderà in pieno il servizio consolare chiuso da Trump cinque anni fa (dopo lo strano caso degli «attacchi acustici» contro propri diplomatici).

Da parte di Washington vi è stata l’autorizzazione a riprendere una serie di voli verso Cuba oltre che le visite culturali di cittadini americani e le missioni di imprenditori soprattutto cubano-americani. L’Avana nei giorni scorsi ha accettato, per la prima volta, di ricevere voli di rimpatrio di cubani arrestati mentre cercavano di varcare il confine Usa-Messico.

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Secondo il quotidiano inglese The Indipendent, il prossimo passo del Dipartimento di Stato potrebbe essere la cancellazione di Cuba dalla lista nera dei «paesi che favoriscono il terrorismo», misura anche questa adottata da Trump per strangolare l’economia cubana. Il che rappresenterebbe una boccata d’ossigeno essenziale per l’economia cubana in drammatica crisi.

Le ragioni di questi segnali di cambiamento sono politiche. I democratici hanno perso di brutto in Florida. Ormai difficilmente lo «Stato del sole» può essere considerato un swing state, ovvero in bilico tra repubblicani e democratici. Ron De Santis, riconfermato governatore, si presenta come un radicale di destra, candidato antagonista a Trump per la prossima presidenza. Biden dunque non è più costretto a rincorrere i falchi cubano-americani della Florida e può giocare nuove carte. Rispetto a Obama, però una nuova politica di appeasement sarà legata a «concessioni» dell’Avana sul piano dei diritti umani, in particolare a non reprimere pesantemente forme di protesta e dissenso.

Cuba vive la crisi più profonda e pericolosa dai tempi della sparizione dell’Unione sovietica (1991). Gli indicatori della produzione sono in calo, drammatico quello della produzione dello zucchero, una volta considerato il simbolo di Cuba. Le 450.000 tonnellate previste dal piano (comunque l’obiettivo più basso degli ultimi anni) difficilmente saranno raggiunte visto che a novembre il piano di semina è stato compiuto solo al 41%. La estrema scarsità di beni spinge il vento in poppa all’inflazione – un chilo di pomodori costa 500 pesos rispetto a un salario medio di 3800 pesos – e al malcontento. L’embargo Usa e la crisi internazionale fanno il resto. E producono quella che è una importante e pericolosa differenza rispetto al passato: la popolazione sta perdendo la speranza che il governo socialista introduca le riforme – alcune già previste da anni – per migliorare la situazione.

Lo dimostra l’esodo massiccio, specie di giovani. Nell’ultimo anno fiscale 2022 (concluso a ottobre) gli Usa hanno registrato l’ingresso attraverso la frontiera messicana di 224.607 cubani, senza contare i circa 10.000 che hanno tentato per mare (7000 intercettati dalla Guardia costiera Usa) e quelli entrati attraverso altri paesi. Si tratta del 4% della popolazione attiva cubana , essendo la grandissima parte giovani. Un analista ricorda la situazione della Germania dell’Est prima della caduta del muro nel 1989, quando la gente «votava con i piedi» lasciando la DDR per andare in Austria attraverso l’Ungheria.

Sono necessarie riforme di struttura, urgenti e radicali, sostiene l’economista Omar Everleny. Tesi condivisa anche da economisti vicini al governo. Il settore privato, come complementare e stimolatore di quello statale in crisi, «è la gran riserva», afferma. Ma deve contare su investimenti esteri e su garanzie giuridiche e politiche che li garantiscano. Su questo punto il ministro del commercio estero Rodrigo Malmierca continua a battere – anche in questi giorni in cui si svolge la Fiera internazionale dell’Avana. Con uno sguardo rivolto anche ai businessmen cubano americani, potenzialmente tra i più interessati.

Il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador , che da anni tratta con gli Usa su un piano di pragmatismo e di rispetto della non ingerenza negli affari interni e che in questo periodo è il più pronto ad aiutare Cuba, da mesi suggerisce all’Avana sia «cambiamenti all’interno della Rivoluzione», sia una linea più pragmatica verso gli Stati uniti.

È passato il tempo in cui l’isola era la trincea di resistenza contro l’imperialismo yankee. Si apre un periodo in cui nei Paesi latinoamericani che hanno le maggiori economie del subcontinente vi sono al governo progressisti decisi a rafforzare i meccanismi di integrazione regionale in modo da poter cambiare i rapporti di forza con cui confrontarsi con gli Stati uniti.