«Il consultorio non si tocca e lo difenderemo con la lotta!». Parte così il corteo che da Villa Bellini sfila sotto il comune di Catania per chiedere un tavolo di confronto con il consiglio di amministrazione dell’immobile dove fino a martedì scorso c’era «mi cuerpo es mio», consultorio da alcuni anni autogestito dalle donne della città.

«IL GIORNO STESSO dei funerali di Giulia Cecchettin lo stato sgombera a Catania il consultorio mi cuerpo es mio, un presidio contro la violenza di genere», ha scritto ieri mattina Elena Cecchettin, sorella di Giulia, sul suo profilo Instagram. Ieri anche quel femminicidio, e il peso politico che ha assunto, erano presenti al corteo. Tra le centinaia di persone un cartello recita «Funerale di Giulia a Padova + sgombero consultorio a Catania = ipocrisia di stato». «Abbiamo scelto che la socialità e l’educazione che vogliamo non arrivassero dallo stato, perché tanto non ne sarebbe capace» grida una ragazza dal camion che apre il corteo dietro lo striscione con scritto «Il consultorio e lo studentato non si toccano». Lo spazio sgomberato, infatti, era anche uno studentato autogestito che dava posti letto gratuiti a 12 studenti dell’università di Catania. «Lo sgombero del 5 novembre è emblematico dell’ipocrisia delle istituzioni, nel caso specifico di quelle di Catania, che qualche settimana prima si riempivano la bocca con il contrasto alla violenza sulle donne e poi hanno sgomberato un presidio che da oltre sei anni non fa altro che contrastare tale violenza» spiega con rabbia un volontaria, Lara Torrisi.

Per le donne che quello spazio lo vivevano, lo sgombero è un chiaro attacco contro chi dava una soluzione ad una delle più grandi carenze della sanità pubblica: la situazione dei consultori e la garanzia del diritto d’aborto in Sicilia. «Gli spazi autogestiti sull’isola sono veri e propri presidi territoriali che riescono a dare risposta alle situazioni che non la trovano nei consultori e negli ospedali pubblici» aggiunge Irene Fugaz, attivista di Non una di meno Catania.

LA LEGGE 34/1996 prevede che ci sia un consultorio familiare ogni 20.000 abitanti. A Catania città, che conta 297.472 abitanti, vi sono solo 9 consultori e per di più carenti di personale e macchinari. E nessuno di loro somministra la Ru486, come in tutti i consultori del resto della Sicilia, il che va contro le linee guida del ministero della Salute che dal 2020 prevede la somministrazione della pillola abortiva nei consultori. Nella città etnea l’Ivg farmacologica non è disponibile in nessun ospedale e solo tre strutture praticano l’aborto chirurgico, mentre secondo fonti non ufficiali dati relativi al 2023 dimostrano che in 57 reparti di ostetricia e ginecologia presenti sull’intera isola solo 31 effettuano Ivg. Dall’ultima relazione del ministero della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 che si riferisce al 2021, emerge una grave criticità relativa al tasso di obiezione in Sicilia e più in generale al libero accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Il dato ufficiale mostra come su 56 strutture con reparto di ostetricia e/o ginecologia solo 28 praticano Ivg, ovvero il 50,0% del totale delle strutture che potrebbero farlo. Questi dati sono frutto di una delle contraddizioni che la stessa legge 194 porta con sé: l’obiezione di coscienza.

A CONFERMARLO è l’altissimo numero di medici obiettori che ostacolano l’accesso all’aborto in Sicilia. Gli anestesisti obiettori sull’isola, secondo dati del ministero risalenti al 2020, sono 331, il 73,1%, contro la media nazionale del 44,6, e segnano un record a livello italiano. Alta è anche la percentuale tra il personale non medico: l’86,1% è obiettore di coscienza contro una media nazionale del 36,2. Nella città di Messina vi è un solo medico non obiettore di coscienza, mentre a Palermo la situazione è migliore con un numero più alto di ospedali in cui è possibile abortire. In generale non c’è trasparenza nell’accesso a questi dati che spesso non sono aggiornati e in alcuni casi le uniche fonti sono quelle relative ai tracciamenti fatti da non una di meno. Per questo, per la necessità di spazi autogestiti in territori in cui la sanità pubblica è carente e perché in alcuni luoghi sembra impossibile portare avanti la lotta contro la violenza di genere se non in forma autonoma, il corteo di ieri ha coinvolto non solo la cittadinanza catanese ma anche quella della provincia, fino a Siracusa.

LA MANIFESTAZIONE si conclude in piazza del Duomo, dove il cordone di testa si è sciolto per concentrarsi sotto il municipio. Davanti all’entrata del comune di Catania adesso resta uno striscione con scritto «Il vero degrado sono le istituzioni».