Meloni: «Santanchè in aula». E sul Mes chiede un rinvio
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Meloni: «Santanchè in aula». E sul Mes chiede un rinvio

Cronache di palazzo La premier: «Un errore la ratifica ora». Ma alla Ue è stato già garantito che il sì arriverà
Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 giugno 2023

Più che un auspicio è un ordine. Nel merito della decisione sulla riforma del Mes, se ratificarla o meno, Giorgia Meloni si limita a un veloce «Sapete come la penso e non ho cambiato idea», quasi a mezza bocca. Sui tempi, e dunque sul che fare oggi, invece è stentorea: «Penso che sia un errore portarlo in aula adesso, anche per i favorevoli alla ratifica del trattato. Chi chiede di prendere la decisione in questo momento non sta facendo un favore all’Italia. Spero che chi lo ha calendarizzato voglia riconsiderare questa decisione».

Definitivo. Il Pd insiste invece per l’approdo in aula, rovescia l’argomentazione sostenendo che il danno all’Italia lo si fa non ratificando subito la riforma. Il presidente della Camera Fontana, chiamato direttamente in causa, aveva calendarizzato per il 30 giugno dopo che la conferenza dei capigruppo si era espressa in questo senso. Ma i giochi sono fatti. In un modo o nell’altro di qui al 30 giugno la discussione in aula verrà posticipata, forse a settembre, meglio se ancora più tardi.

CHE LA DECISIONE del governo e della maggioranza fosse il rinvio lo sapevano tutti, anche se una esposizione pubblica e così esplicita, appunto più una disposizione tassativa che non l’espressione di un desiderata, non era invece prevedibile. Segno che la premier si rende conto di che guaio enorme sarebbe per governo e maggioranza dover risolvere subito il dilemma. Quel che rende la situazione paradossale è che anche la conclusione dell’estenuante vicenda è di fatto già nota. La ratifica della riforma non è in discussione.

L’Europa non lo permetterebbe e quanto a strumenti di pressione ne ha a volontà. Del resto il ministro dell’Economia Giorgetti avrebbe già garantito il via libera a Bruxelles e proprio da questa garanzia deriva la calma con la quale l’Europa affronta la vicenda. Il problema sta tutto nel costruire un percorso per arrivare a quel traguardo: nelle tortuosità della politica italiana si tratta di un problema serio.

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MA TROVARE UNA STRADA per ratificare senza che ciò appaia come una resa richiede tempo e passa almeno per l’apparenza di una trattativa a tutto campo, cioè anche sul patto di stabilità e sull’unione bancaria. Che l’opposizione faccia il possibile per non lasciare al governo il tempo necessario fa parte delle regole del gioco. Che a ostacolare il percorso sia il principale alleato, Salvini, è molto meno ovvio ed è questo che esaspera l’inquilina di palazzo Chigi, pur consapevole che alla fine la Lega, nonostante gli strepiti, non farà le barricate per impedire la ratifica.

L’ALTRO CAPITOLO che irrita la premier, per usare un eufemismo, è il caso Santanchè. Per Meloni è evidente che non si possa lasciare all’opposizione agio di bersagliare ogni giorno il governo prendendo di mira una ministra vicina alla premier stessa. Insomma, volente o nolente, Daniela Santanchè deve riferire in aula. Solo a quel punto si potrà invocare il garantismo e difenderla da accuse che per ora, come la stessa ministra sottolinea, non hanno portato neppure all’iscrizione nel registro degli indagati, figurarsi al rinvio a giudizio.

LEGA E FORZA ITALIA, con le dovute maniere ma in modo molto esplicito, si sono già schierate per le spiegazioni in aula. La premier va oltre e dà la cosa per scontata e già decisa: «È una richiesta legittima del paramento. Sono contenta che la ministra Santanchè abbia dato la sua disponibilità». La replica arriva a stretto giro, piuttosto piccata: «Se la richiesta sarà formalizzata sarò fiera di riferire alle Camere».

Il Pd risponde ruvido: «Non c’è niente da formalizzare. Deve venire in aula a spiegare». Dopo l’uscita del capo del governo la ministra capisce l’antifona e in serata corregge: «Ho deciso io di rispondere su ogni questione in parlamento. Non me l’ha chiesto Meloni e anzi il mio partito, FdI, me lo ha sconsigliato». La tensione è evidente ma il dibattito in aula non è più procrastinabile.

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