La nomina della prima presidente del Consiglio è stata rivendicata da tanti come la prova che la parità di genere sia ormai un traguardo raggiunto e che parlare ancora di gender gap sia anacronistico o un concetto riservato a un certo tipo di femminismo radicale.

Quello di Giorgia Meloni, però, che si inserisce peraltro in un quadro di dinamiche classiche di potere, rimane un caso marginale di leadership femminile nel panorama del nostro Paese, sia in parlamento che nel mondo del lavoro. Relegando le donne a ruoli marginali e ingabbiandole in contratti precari – se non al di fuori dal lavoro stesso – l’Italia sconta una lentezza maggiore di altri Paesi europei in termini di crescita economica e sociale.

È il quadro delineato dal rapporto di Asvis, associazione che si occupa di monitorare il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, presentato in occasione del Festival dello sviluppo sostenibile 2023.

Il tessuto imprenditoriale, istituzionale, politico e sociale è ancora impermeabile all’integrazione delle donne in posizioni apicali, così che le amministratrici delegate e direttrici generali nei settori produttivi non raggiungono nemmeno il 7% del totale.

L’unico modo con cui finora si è riusciti ad alzare la percentuale sono le tanto bistrattate quote rosa, che nelle società quotate e partecipate hanno portato al 39% di presenza femminile, contribuendo a un parziale riequilibrio.

Ma, ancora di più, hanno dato la possibilità di misurare gli effetti positivi che la presenza di donne in posizioni apicali porta con sé, come l’impiego di altre lavoratrici, la riduzione dei tassi di infortunio e una maggiore formazione dei dipendenti.

Eige (European institute for gender equality)
L’indicatore sull’eguaglianza di genere, che misura le differenze in termini di occupazione, gestione del tempo, risorse economiche, conoscenza, salute e potere, nel 2022 ha collocato l’Italia solo al 14esimo posto sui 27 Stati membri dell’Ue.

La recente approvazione del nuovo Codice degli appalti pubblici, che cancella la certificazione della parità di genere per le aziende, è un passo indietro in tal senso. Rimangono le misure previste dal Pnrr, primo documento di programmazione che considera la parità di genere come dimensione trasversale, che manca, però, come sottolinea il rapporto Asvis, di un sistema di monitoraggio della loro efficacia.

Se la lotta per la leadership è impari, quella per entrare nel mondo del lavoro non è da meno. Anche se le ragazze si laureano prima, più velocemente e con risultati migliori dei colleghi maschi, questi ultimi guadagnano in media il 20% in più ogni anno a cinque anni dalla laurea e hanno maggiori chance di ottenere un lavoro stabile.

Dei 101mila posti di lavoro persi a dicembre 2020, infatti, 99mila (il 98%!) erano occupati da donne. La pandemia aveva rappresentato un periodo buio per il lavoro femminile anche per l’espansione dei tempi lavorativi fino a oltre il 57% in più e di quelli dedicati al lavoro di cura fino a 7 ore in più al giorno.

Ma se il 2022 era considerato l’anno della ripresa, le donne ne hanno beneficiato in misura decisamente minore. Il lieve aumento nelle assunzioni – il 12.9% delle donne contro il 9.2% uomini – si è tradotto principalmente nei cosiddetti contratti deboli: atipici, temporanei, part-time involontari o inadatti alla specificità del tempo femminile, che in sei casi su dieci ha sulle spalle anche i lavori cura. Chi non li ha, invece, ha un tasso di occupazione più alto di quattro punti percentuali.

Rapporto Bes dell'Istat
Il divario retributivo medio annuale delle donne è al 43,7% in Italia contro il 39,6% della media europea.

L’assistenza alla famiglia rimane, infatti, il primo ostacolo all’accesso e alla permanenza nel mondo del lavoro, imposta dalla carenza di servizi socio-assistenziali per anziani, disabili e prima infanzia. Un’inadeguatezza del sistema che diventa ancora più evidente spostandosi verso sud. A fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo di 33 asili nido ogni 100 bambini, a sud i posti sono solo 13,5 e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni.

Il divario rimane costante anche per le altre criticità evidenziate dal rapporto, come il tasso occupazionale, che scende progressivamente dal 65,3% del nord, al 61,8% nel centro, fino al 37,1% al sud. La segregazione lavorativa, così come le conseguenti disparità salariale e pensionistica, è una gabbia, quindi, che si sviluppa sia orizzontalmente che verticalmente.

Rapporto ASviS 2023
Nel 2022 sono stati 125 i femminicidi e, nei primi novanta giorni del 2023 se ne devono già contare 33.