Lo sfruttamento e il caporalato sono i lati oscuri dell’alta moda. L’«eccellenza» delle «creazioni» prodotte in questo redditizio settore dell’economia del lusso possono essere assemblate in laboratori e «opifici» che impiegano in subappalto lavoratori. Questi ultimi possono ricevere salari da pochi euro, avere orari di lavoro oltre i limiti di legge, vivere in ambienti malsani e non sicuri. La vendita a prezzi decuplicati degli accessori così prodotti sarebbe stata realizzata ai danni dei consumatori che hanno pensato di acquisire merci realizzate attraverso «possibili condotte illecite» e in violazione del Codice del consumo che tra l’altro stabilisce il rispetto della sicurezza e della qualità dei servizi e parla di «pratiche commerciali ispirate a buona fede, lealtà e correttezza».

SONO LE MOTIVAZIONI che hanno spinto ieri l’Antitrust ad avviare un’istruttoria nei confronti di alcune società del Gruppo Armani e del Gruppo Dior. Il Garante della concorrenza e del mercato lo ha deciso dopo le inchieste della Procura e le decisioni del Tribunale di Milano che, tra aprile e giugno, hanno portato all’amministrazione giudiziaria delle società Giorgio Armani Operations – che fa capo al Gruppo Armani e appalta a terzi la produzione di accessori – e Manufactures Dior – un’azienda che fa capo alla filiale italiana della Christian Dior. Quest’ultimo è uno dei marchi del gruppo francese del lusso Lvmh guidato da Bernard Arnault che, nel 2023, è stato nominato di nuovo l’uomo più «ricco del mondo». «In entrambi i casi – ha osservato l’Antitrust – le società potrebbero avere presentato dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere, in particolare riguardo alle condizioni di lavoro e al rispetto della legalità presso i loro fornitori». L’altro ieri, i funzionari dell’Antitrust e gli agenti della Guardia di Finanza hanno ispezionato le sedi delle società.

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DAGLI ATTI DELL’INCHIESTA condotta dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dai pubblici ministeri Paolo Storari e Luisa Baima Bollone le aziende non avrebbero vigilato a sufficienza sulla catena di fornitura. Così la produzione sarebbe stata appaltata a fornitori che non sarebbero stati in grado di produrre internamente. Per questa ragione avrebbero commissionato la produzione a società subfornitrici.

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SECONDO I GIUDICI il «meccanismo di sfruttamento lavorativo», basato su opifici clandestini, sarebbe stato agevolato «colposamente» dalla società operativa del gruppo Armani. Un laboratorio clandestino poteva vendere all’intermediario-fornitore una borsa a poco più di 90 euro. La merce era venduta nei negozi col marchio Armani a 1.800 euro. Le paghe dei lavoratori collocati nell’ultimo anello della subfornitura erano «anche 2-3 euro l’ora» per un lavoro che poteva durare anche oltre le «14 ore al giorno». Una condizione che sarebbe durata dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio, hanno sostenuto i giudici. Quattro titolari «di aziende di diritto o di fatto di origine cinese» che lavoravano per il gruppo Armani sono stati accusati di caporalato.

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NEL CASO DI DIOR le borse vendute a 2.600 euro nei negozi sarebbero costate al produttore 53 euro. Anche in questo caso gli operai che hanno venduto la loro forza lavoro sono i cinesi in tale caso sfruttati negli «opifici» milanesi e brianzoli. Durante l’ispezione nell’opificio di Opera, nella provincia di Milano, i carabinieri avevano trovato una coppia cinese con 17 operai cinesi e 5 filippini. In maggioranza gli operai non avevano un contratto regolare, mangiavano e dormivano in un capannone con un cucinino, sette stanze e due bagni in condizioni igieniche da «minimo etico».

IL GRUPPO ARMANI ha preso atto del procedimento avviato dall’Antitrust contro le «pratiche commerciali scorrette», ha assicurato la «piena collaborazione», ritiene «infondate le ipotesi» e pensa che gli accertamenti avranno «esito positivo». «Condanniamo fermamente questi atti scorretti, collaboreremo con gli organi giudiziari italiani» ha sostenuto Dior. La «maison» avrebbe scoperto pratiche illegali di «due fornitori» solo «nelle ultime settimane» e ha sostenuto che «nessun nuovo ordine sarà effettuato in futuro».