Bassa moda, caporalato all’Armani Operations spa
La società in amministrazione giudiziaria per non aver controllato la filiera produttiva. Le aziende fornitrici esternalizzavano le commesse a opifici cinesi
La società in amministrazione giudiziaria per non aver controllato la filiera produttiva. Le aziende fornitrici esternalizzavano le commesse a opifici cinesi
Ci risiamo, dopo il recente caso dell’Alviero Martini Spa un altro grosso marchio del made in Italy dell’alta moda finisce indagato per caporalato. Questa volta tocca a una società del nome più famoso della moda italiana: Giorgio Armani. La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations Spa, società che si occupa della progettazione e della produzione di abbigliamento e accessori del gruppo Armani. L’inchiesta è dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, insieme ai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro.
LA STORIA ORMAI SI RIPETE: in nome del massimo profitto si taglia sul costo del lavoro, sulla sicurezza e sulla contabilità. Una borsa prodotta a meno di 93 euro veniva venduta nei negozi di lusso a 1.800. Borse, vestiti e accessori griffati erano fatti da operai cinesi sfruttati in capannoni-dormitorio. La casa di moda lo sapeva, scrivono i magistrati, ma non ha impedito lo sfruttamento. La Giorgio Armani Operations Spa non avrebbe messo in atto misure utili alla verifica delle reali condizioni di lavoro nelle aziende appaltatrici e avrebbe invece consapevolmente fatto lavorare soggetti noti per aver fatto caporalato. Un mese fa i carabinieri del Comando Tutela Lavoro avevano trovato in uno degli opifici cinesi ispezionati un addetto della Giorgio Armani Operations Spa intento a fare il “controllo qualità dei prodotti”.
Per intere filiere c’era la completa esternalizzazione dei processi produttivi. Le aziende fornitrici a loro volta esternalizzavano le commesse a opifici cinesi che abbattevano i costi «ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento». Il corollario degli illeciti è quello di altre storie simili: lavoratori stranieri irregolari, fatti lavorare senza rispettare le norme sulla sicurezza del lavoro, con orari di lavoro al di sopra di quelli previsti dai contratti nazionali.
PER I GIUDICI quello attorno al marchio Giorgio Armani era un “sistema” di illeciti che andava avanti da almeno sette anni. Non «fatti episodici» scrivono i giudici, ma un «sistema di produzione generalizzato e consolidato» che riguardava diverse «categorie di beni come borse e cinture e che si ripeteva quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio». Negli opifici si lavorava per oltre 14 ore al giorno, anche nei giorni festivi. I lavoratori erano sottoposti a ritmi di lavoro massacranti e costantemente a rischio sulla sicurezza. I capannoni erano anche dormitori con «condizioni alloggiative degradanti». Le paghe? «Anche 2-3 euro l’ora» scrivono i giudici.
LE ISPEZIONI dei carabinieri hanno portato al controllo di quattro opifici, tutti risultati irregolari, dove sono stati identificati 29 lavoratori, di cui 12 senza contratto di lavoro e 9 senza documenti. Indagati per caporalato sono i quattro titolari di queste aziende e altre nove persone. Abbattendo i costi di produzione la società produceva anche una forma di concorrenza sleale verso chi opera in regola, scrivono ancora i giudici.
GRAZIE A QUESTO POOL di magistrati la Procura di Milano è riuscita a scoperchiare un sistema che altrove resta nascosto. A Milano ci sono fascicoli coordinati dal pm Paolo Storari aperti con contestazioni simili verso grandi aziende di trasporti, logistica, servizi di vigilanza e ora la lente si è accesa sul mondo della moda. Per il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia «sarebbe opportuno avviare come fatto per il settore della logistica, da parte della Prefettura di Milano, un tavolo che consenta di cogliere le criticità operative degli imprenditori di questo che costituisce un settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale». L’impostazione del Tribunale è quella di affiancare queste aziende, commissariarle appunto, per riportarle in un recinto di legalità. «L’amministrazione giudiziaria eseguita oggi si verifica senza impossessamento degli organi amministrativi consentendo quindi alla società la piena operatività sul piano imprenditoriale».
LA GIORGIO ARMANI Operations Spa è in amministrazione giudiziaria ma non è indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa. «La società ha da sempre messo in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura» ha scritto in una nota la società e «collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda».
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