Cultura

Meglio lasciare in pace i fantasmi

Meglio lasciare in pace i fantasmiDaniel Galera

Intervista Lo scrittore brasiliano Daniel Galera, autore del romanzo «Barba intrisa di sangue» (edito da Sur) sarà ospite oggi in Italia alla Grande invasione di Ivrea. «Scrivere fiction è come progettare modelli in un mondo incompleto: si raccolgono pezzi in una struttura imperfetta e la si riempie di visioni e sensazioni»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 giugno 2018

Ogni mattina, quando si sveglia, il protagonista del romanzo Barba intrisa di sangue mette a fuoco il suo viso per qualche minuto e poi lo dimentica. È affetto da una rara malattia che non gli permette di fermare nella memoria nessuna faccia, nemmeno la sua. Ed è forse proprio per questo che, alla morte del padre per suicidio, lascia Porto Alegre per andare a vivere in un piccolo borgo sul mare, abitato da pescatori, perdigiorno e probabili fidanzate. Non è una destinazione casuale: è lì che, molti anni prima, è scomparso suo nonno Gaudério, forse assassinato. Ed è lì che – attraverso una narrazione che intreccia toni diaristici, improvvisi distacchi in terza persona, risvolti suspence, brevi puntate nelle atmosfere surreali e magiche del Brasile più remoto, impennate picaresche – il ragazzo che «cancella» se stesso può sperimentare quella educazione sentimentale che lo conduce a una frammentazione di verità senza un vero filo conduttore. La vita è come le onde dell’oceano che lui sa domare con bracciate vigorose: dev’essere vissuta senza porsi troppe domande. E lasciar riposare i fantasmi del passato nelle loro terre misteriose.
Lo scrittore brasiliano Daniel Galera, classe 1979, vincitore del premio São Paolo per la letteratura con la sua Barba intrisa di sangue (Sur, pp. 450 euro 19, traduzione di Patrizia Di Malta) è considerato fra i migliori nuovi talenti in lingua portoghese. È in Italia, ospite alla Grande Invasione di Ivrea, il festival della lettura (oggi, ore 19,15 con Luciano Funetta).

Il suo romanzo è un gioco interno al bilico fra realtà e immaginazione. Eppure, per scriverlo lei ha vissuto davvero nel paese di Garopaba…
Mi sono trasferito a Garopaba prima ancora di sapere che volessi scrivere un libro. È stata una decisione personale: sognavo di passare un po’ di tempo in un posto tranquillo dove non conoscevo nessuno, in una cittadina costiera in cui poter nuotare nell’oceano. Garopaba era quel posto dei desideri. Mi sono trasferito nel luglio 2008 e, poche settimane dopo, mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo basato sulla storia di un omicidio che mio padre mi aveva raccontato molti anni prima. Tutto è cominciato con il mistero di quel delitto, che non aveva niente a che fare con la mia famiglia e poi la storia si è trasformata in una sorta di romanzo esistenziale su un uomo che trovava il suo posto nel mondo e diventava un mito locale, proprio come suo nonno prima di lui. Il libro è stato possibile grazie alla mia personale esperienza di vita in Garopaba, ma non narra nulla di me, niente di autobiografico.

«Barba intrisa di sangue» è un libro sulla ricerca di se stessi e anche sull’impossibilità di stabilire la verità sulle vite altrui. In più, il protagonista è affetto da una sindrome che non gli permette di ricordare i volti… una malattia molto simbolica, sia dal punto di vista letterario che psicologico. Cosa ci dice al riguardo?
Ho conosciuto la prosopagnosia, o cecità facciale, leggendo un libro di neuroscienze nel 2007 e ho immediatamente provato il desiderio di esplorare quella condizione in un personaggio immaginario. Quando ha iniziato a delinearsi il romanzo, ho capito che quella era l’occasione giusta. La sindrome del protagonista ha un significato intrinseco: condiziona il suo punto di vista, i pensieri e le sensazioni. È emotivamente distante, un introverso, anche se è un individuo generoso e caldo. La malattia lo costringe a sviluppare una grande attenzione ai dettagli che lo circondano. Spera così di ricordare le persone dai particolari e da alcune memorie contestuali. Quell’inondazione di dettagli caratterizza lo stile narrativo. Inoltre, l’incapacità di ricordare i volti crea situazioni altalenanti tra suspence e esiti umoristici. Il livello simbolico è nella profonda connessione con il nonno. C’è una somiglianza nei tratti che tutti riscontrano, ma il protagonista non «conosce» il suo medesimo volto. Questa perdita conferisce un senso poetico alla ricerca della verità sul nonno e introduce nella storia un elemento di terribilità.

In «Manuale per investire i cani e altri racconti» (edito da Arcana) sfilavano una serie di ritratti di giovani dei nostri tempi. Qui, invece, torna alla ribalta un paese mitico, popolato da superstizioni. Non le piace più il Brasile contemporaneo?
Concordo sul fatto che Barba intrisa di sangue indaghi di più il meccanismo dei miti e del determinismo filosofico nella vita umana piuttosto che rappresentare la realtà attuale del Brasile. È un romanzo sui modelli e gli elementi estetici della nostra esperienza e anche sul rapporto con la natura. Ma credo che presti attenzione anche all’oggi. Sono i dettagli a dircelo, quando i personaggi parlano delle imprese corrotte che costruiscono le strade, o delle grandi case in cima alle colline vicino al mare, dove è vietato costruire per legge. O, ancora, quando registriamo l’impatto delle tecnologie digitali nelle relazioni e nei sentimenti. Presi tutti insieme, questi particolari disegnano un’immagine realistica del Brasile nel terzo millennio, almeno in quella piccola comunità tradizionale dove il quotidiano scorre con modalità diverse rispetto ai moderni centri urbani. Il mio ultimo libro Meia-noite e vinte è invece profondamente intrecciato alla società e alla attuale politica.

Il Brasile sta vivendo un momento di passaggio incerto. Il sogno di un presidente come Lula si è infranto e il malcontento sociale è altissimo. Cosa ne pensa?
Ho molta paura di ciò che sta accadendo. L’enorme frustrazione derivata dalla crisi economica e l’amara eredità del Partido dos Trabalhadores, che ha migliorato sì la vita dei cittadini più poveri ma alla fine ha ricalcato vizi e corruzione dei vecchi poteri politici, spalanca le porte ai rigurgiti più retrogradi e fascisti della società. È un mese che manco dal Brasile e ho letto con preoccupazione le notizie sullo sciopero dei camionisti che paralizza i paese e sull’incompetenza del governo. Non so esattamente cosa troverò al mio ritorno. Spero solo che i partiti di sinistra e del centro possano stringere una buona alleanza. Gli elettori hanno bisogno di un programma convincente per affrontare la minaccia della destra opportunista e radicale e dei crociati della morale che potrebbero far precipitare in peggio la situazione. La democrazia può essere inefficace e frustrante e, quando la disperazione cresce, le persone tendono a fare scelte sbagliate, si estremizzano con risultati disastrosi. È ora di attrezzarsi per un sincero dibattito, al di fuori dei ciechi radicalismi che prosperano in un’epoca come la nostra, fatta di messaggi istantanei, social network e fake news.

Quali sono le sue fonti d’ispirazione letterarie, brasiliane ma non solo?
Ci sono scrittori come i brasiliani João Gilberto Noll, Hilda Hilst, Graciliano Ramos e altri autori, molto diversi – penso a Cormac McCarthy, David Foster Wallace, Yukio Mishima, Juan José Saer e Mario Levrero, solo per citarne alcuni. Vorrei trasmettere al lettore lo stesso tipo di emozione che hanno suscitato in me. Ma l’ispirazione di un romanziere proviene da luoghi inediti, si va dai vagabondaggi introspettivi ai videogiochi. Scrivere fiction è come progettare modelli in un mondo incompleto: si raccolgono pezzi, si crea una struttura imperfetta e la si riempie di visioni e sensazioni.

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