Mega sciopero alla Boeing, la forza degli operai Usa
Aeronautica Trentatremila lavoratori incrociano le braccia: è la più grande protesta dell’anno. Harris e Trump non potranno ignorarli
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Trentatremila operai della Boeing, il gigante della produzione aeronautica statunitense, sono entrati in sciopero nella regione di Seattle da venerdì scorso. A partire dalla mezzanotte, in centinaia hanno picchettato le fabbriche di Renton e Everett, dove si producono celebri modelli di aerei come il 737 Max.
I LAVORATORI, organizzati dall’International Association of Machinists and Aerospace Workers (IAM), avevano precedente rifiutato a larghissima maggioranza (95 per cento di ‘no’) il contratto negoziato dalla leadership del sindacato con l’azienda. Il contratto prevedeva un aumento del 25 per cento sui prossimi 4 anni, ma anche l’eliminazione di alcuni bonus. Nonostante la leadership sindacale avesse raccomandato l’approvazione dell’accordo, gli iscritti intendono lottare per aumenti contrattuali maggiori (la richiesta iniziale del sindacato all’azienda era stata di un aumento del 40 per cento), a fronte degli alti tassi di inflazione registrati negli ultimi anni. In più, gli operai lamentano il passaggio da un sistema pensionistico retributivo a uno contributivo avvenuto nel 2016, un regime ulteriormente peggiorato per i nuovi assunti.
È il primo sciopero a Boeing dal 2008, quando la produzione si fermò per 57 giorni. I lavoratori in sciopero riceveranno uno stipendio di 250 dollari a settimana dal fondo del sindacato solo a partire dalla terza settimana di mobilitazione, ma il plebiscito contro la proposta contrattuale dimostra che gli iscritti sono potenzialmente pronti a una lunga lotta pur di ottenere migliori condizioni.
Lo sciopero avviene in un momento molto complesso per l’azienda, già turbata dai problemi di sicurezza registrati da alcuni dei suoi modelli. Lo scorso gennaio, il portellone di un aeroplano Boeing 737 operato da Alaska Airlines si era staccato in volo. Solo un atterraggio di emergenza aveva evitato una tragedia, ma l’episodio ha ovviamente generato sospetti pesanti nei confronti di problemi nella produzione dei velivoli, problemi peraltro già denunciati da vari whistleblower.
BOEING è ora pesantemente indebitata e in difficoltà nei confronti del suo principale competitor, l’europea Airbus. Solo poche settimane fa il nuovo ceo dell’azienda, Kelly Ortberg, aveva dichiarato di voler ricostruire la relazione con i lavoratori, e aveva compiuto alcuni atti simbolici, come spostare la propria residenza a Seattle, vicino alla produzione. Ortberg ha invitato gli operai ad accettare il nuovo accordo contrattuale, lamentando che lo sciopero avrebbe danneggiato la ripresa dell’azienda. Ma secondo diversi analisti finanziari la posizione di debolezza in cui si trova attualmente Boeing ne indebolisce la forza contrattuale e potrebbe andare a vantaggio dei lavoratori in sciopero, costringendo l’azienda a tornare al tavolo con un’offerta migliorativa.
LO SCIOPERO degli operai di Boeing è il più largo registrato quest’anno negli Stati Uniti, ed arriva dopo che nel 2023 migliaia di lavoratrici e lavoratori sono scesi in sciopero in tutto il paese per rivendicare condizioni lavorative migliori. Secondi i dati riportati dal report annuale sulle mobilitazioni lavorative prodotto congiuntamente dalla Ilr School della Cornell University e dalla Ler School della University of Illinois, più di cinquecentomila lavoratori hanno scioperato almeno un giorno nel 2023, un aumento del 140 per cento rispetto all’anno precedente, trainato in particolare dallo storico sciopero dei lavoratori dei ‘big 3’ dell’auto statunitense lo scorso autunno.
Le mobilitazioni del 2023 sono state incentivate da vari fattori, fra cui il grosso aumento del costo della vita negli ultimi anni e la bassa disoccupazione, che ha incoraggiato i lavoratori e le lavoratrici a scioperare con minor timore per le possibili ripercussioni. Nel 2024 l’economia americana ha subito un raffreddamento, e l’inflazione è in calo, ma lo sciopero a Boeing mostra come permanga una certa combattività in alcuni segmenti della classe operaia americana, anche all’interno di sindacati piuttosto moderati.
LA MOBILITAZIONE a Boeing arriva a poche settimane dalle elezioni presidenziali del 5 novembre. Nelle ore immediatamente successive allo sciopero, né Kamala Harris né Donald Trump hanno preso ufficialmente posizione. Anche la Casa Bianca guidata da Joe Biden ha mantenuto un basso profilo, segnalando di essere comunque in contatto con entrambe le parti. Non è da escludersi tuttavia che, se lo sciopero dovesse prolungarsi, possa assumere un profilo politico più alto, come è accaduto l’anno passato con lo sciopero dell’auto, che ha visto per la prima volta un presidente americano visitare un picchetto sindacale. Sia Kamala Harris che Donald Trump intendono assicurarsi il voto operaio americano, in una sfida che al momento si preannuncia in equilibrio.
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