Il ruolo della Turchia come mediatrice nel conflitto ucraino diventa sempre più importante. Per il mondo, visti i rapporti economici, politici e militari che Ankara ha consolidato in questi ultimi anni con entrambi i paesi. Ma anche per il governo turco si tratta di una sfida essenziale, a fronte della devastante crisi economica e politica in corso. Eventuali successi in politica estera, oltre a ripristinare i rapporti fragili e problematici con gli alleati Nato, potrebbero tradursi in un miglioramento nei sondaggi: le elezioni politiche e presidenziali sono alle porte e le opposizioni, sempre più compatte, crescono nei sondaggi.

Sin dai primi giorni della guerra, il presidente Recep Tayyip Erdogan, il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu così come quello della Difesa Hulusi Akar sono stati molto chiari nelle loro dichiarazioni: «Non pretendete da noi sanzioni economiche nei confronti della Russia». Da qui la scelta per c erti versi obbligata di provare a mediare tra le parti in conflitto, per ricucire con la Nato e perché la Turchia, che vanta rapporti commerciali molto forti sia con Kiev sia con Mosca, subirebbe dalle sanzioni ulteriori danni alla sua economia, già disastrata.

Le divergenze tra Ankara e Nato risalgono all’era dell’amministrazione Obama e hanno a che fare con le diverse scelte politiche e militari nella guerra per procura in Siria. Un altro incidente è stato lo scandalo di truffe ed evasione fiscale legato alle sanzioni emesse da Washington nei confronti dell’Iran: alcuni imprenditori turchi-iraniani poi finiti in galera negli Usa durante le udienze hanno dimostrato il coinvolgimento diretto del governo turco e della famiglia Erdogan.

UN ALTRO PROBLEMA sorto tra gli alleati è senz’altro la presenza di Fethullah Gulen in Pennsylvania: l’ex “compagno” di Erdogan è accusato di essere l’organizzatore del fallito golpe del 2016, ma nonostante numerose richieste non è stato finora consegnato alla Turchia.
La lista dei conflitti nati in questi ultimi anni tra Washington e Ankara è lunga e senz’altro la guerra tra Ucraina e Russia è una “buona occasione” per risanare i rapporti.

E risanare ovviamente l’economia: secondo il Tuik, l’Istat turco, l’inflazione è al 55%. Per gli osservatori indipendenti oltre il 132%. Il neo ministro del Tesoro ha dichiarato a metà marzo che la Lira turca è ai minimi storici come valore di fronte alle monete straniere dominanti come il dollaro e l’euro. La disoccupazione, sempre secondo il Tuik, supera l’11%, mentre Disk, il più grande sindacato confederale del paese supera il 27%.

LE SANZIONI ALLA RUSSIA sono impensabili anche perché più del 40% del fabbisogno del gas e il 37% del grano dipendono da Mosca e la prima centrale nucleare del paese sarà costruita dai russi. Il legame economico tra i due paesi è pari a 10 miliardi di dollari l’anno. Inoltre sono stati avviati più di 2000 progetti edili turchi in Russia, per un valore di 80 miliardi di dollari. In totale il 16% del volume commerciale globale della Turchia si registra con la Russia. E a tutto questo dobbiamo aggiungere i forti rapporti tra i servizi segreti russi e turchi, oltre al sistema missilistico S400, che Ankara ha comprato dalla Russia per oltre 2 miliardi dollari. Operazione costosa anche in ermini di spaccatura con la Nato.

IL RUOLO DI MEDIAZIONE della Turchia risulta quasi inevitabile anche considerando i rapporti economici, politici e militari che Ankara ha sviluppato negli ultimi 8 anni con Kiev. I droni armati prodotti dalla famiglia del genero di Erdogan e venduti a Kiev, la minoranza musulmana a turcofona in Crimea, la pericolosa presenza della Russia nel Mar Nero e quei circa 4,5 miliardi d’investimenti turchi in Ucraina sono solo alcuni elementi che spingono Ankara ad esporsi.

Il progetto a lungo respiro di Erdogan potrebbe inoltre considerare sia gli oligarchi russi che inizieranno a svolgere le loro attività in Turchia sia quegli oppositori russi che troveranno un rifugio nelle grandi città turche.

I PRIMI SEGNALI sul primo aspetto si sono registrati quando Abramovich ha deciso di attraccare le sue due enormi barche a Bodrum, in Turchia. Pochi giorni dopo il ministro degli Esteri Cavusoglu, al Doha Forum in Qatar ha invitato apertamente gli oligarchi russi a svolgere le loro attività commerciali in Turchia, «finché restano all’interno della giurisdizione internazionale». Secondo il professore universitario turco, Aydin Sezer numerose aziende russe stanno già avviando operazioni di acquisto di beni di lusso, immobili costosi e vari investimenti finanziari a Istanbul.

DIMA VARLAMOV invece è una giornalista russa che lavorava per il canale televisivo russo indipendente, Dozhd, e ha deciso di rifugiarsi a Istanbul dopo che il governo russo ha chiuso le attività del suo canale. Non è l’unica, stando alle interviste fatte a Istanbul e Ankara da DW e El Pais ai cittadini russi che sono dovuti fuggire per essersi opposti alle politiche di guerra di Mosca.

Quindi sia per opportunismo sia per obbligo Erdogan deve comportarsi da “mediatore” in questa guerra. E noi? Dimenticheremo che gli abbiamo dato del «dittatore» pochi mesi fa, ci scorderemo di tutti quegli oppositori in carcere e gli stringeremo le mani ancora una volta?

Errata Corrige

Il ruolo “obbligato” della Turchia nel conflitto. L’attivismo di Ankara dettato dalla necessità di ricucire con la Nato, l’economia a picco come i sondaggi del presidente, i forti legami e le dipendenze economiche sia con Kiev e con Mosca