Colpo su colpo. Sergio Mattarella, nel viaggio a est, non ha sferzato solo i «sovranisti» ma l’intera Ue. Ieri, da Cracovia, ha ripreso il discorso da dove lo aveva lasciato a Varsavia, quando aveva invocato uno scatto europeo unitario sull’immigrazione. Ora allarga l’orizzonte con toni che a tratti, sia pure nello stile proprio dell’uomo e molto distante da quello del presidente francese, riprendono i temi lanciati da Macron: «Per la Ue ogni giorno è un banco di prova ma sarebbe del tutto inadeguato pensare a un’Europa frutto dell’affannosa rincorsa ad affrontare problemi dettati da altri, in un quadro internazionale dettato da altri».

Insomma non è solo l’immigrazione il problema epocale che nessun singolo Stato può pensare di affrontare da solo. In ballo, per l’Europa, c’è il bivio tra giocare d’ora in avanti un ruolo da protagonista oppure da comprimaria. Mattarella infatti si spinge anche oltre. Parla apertamente di «autonomia strategica dell’Unione». Mette sul tavolo «una difesa comune europea» e l’aumento delle spese militari: «Le stesse somme destinate al rafforzamento della difesa dei singoli Paesi della Ue, se messe a fattor comune diverrebbero un volano ineguagliabile, a vantaggio anche dall’Alleanza atlantica».

La redazione consiglia:
«Fascisti complici». Ad Auschwitz Mattarella ristabilisce la storia

L’ostacolo che impedisce di raggiungere quel risultato è indicato senza perifrasi: «L’esigenza di fare dell’Europa una protagonista non trova adeguata risposta nella visione di un’Unione come somma temporanea e mutevole di umori e interessi nazionali, quindi per definizione perennemente instabile». Non è solo una frecciata diretta contro i nazionalismi, che oggi va di moda definire sovranismi. La preoccupazione del capo dello Stato è più profonda. Sa bene che la guerra sta tirando l’Europa in direzione opposta rispetto a quella imboccata nella crisi Covid. Non è un problema circoscritto ai Paesi dell’Est ma riguarda anche l’egoismo risorgente dei frugali del nord e gli stessi grandi Paesi guida a partire dalla Germania.

Nella visione di Mattarella ci sono paletti che non possono essere superati: l’autonomia strategica può svilupparsi solo all’interno di un perimetro preciso, delimitato dall’assoluta fedeltà alla Nato. Sulla guerra usa accenti persino più duri di quelli di Varsavia. Parla di «attacchi criminali che uccidono con ferocia». Senza citarlo traccia un parallelismo con il modus operandi della Germania nazista, quando denuncia «crimini frutto di una rinnovata esasperazione nazionalista che pretende di conquistare spazi accampando la presenza di gruppi di popolazione appartenenti alla stessa cultura». Come i Sudeti, o come Danzica.

Reduce dalla visita ad Auschwitz, nell’ottantesimo anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia, Mattarella cita la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta al lager. Esalta «la memoria, unico vaccino contro l’indifferenza». Però sarebbe un errore pensare che l’attacco frontale contro il nazionalismo e contro i valori della destra implichi una tensione tra lui e la premier.

Al contrario, almeno per un tratto di strada il percorso della leader dei Conservatori europei e quello dell’europeista del Colle coincidono. L’idea di Meloni, non necessariamente condivisa da tutti i suoi alleati e non del tutto digerita neppure in Fdi, è quella di un doppio binario che esalta le identità dei singoli Stati ma anche la loro appartenenza all’Ue, in nome dell’interesse comune, su tutto quel che i singoli Stati non possono sbrigare da soli. È un terreno sul quale l’incontro con Mattarella è possibile.