Sergio Mattarella è uomo abituato a pesare le parole e calibrare i toni. Se ieri ha deciso di picchiare così duro su una sventagliata di argomenti diversi è segno che la sua pazienza si sta esaurendo.

Nel suo intervento per la tradizionale Cerimonia del Ventaglio ha parlato molto di informazione e le sue parole non lasciano spazio a equivoci. «Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo contro la Re-pubblica», scandisce il presidente.

La scelta di parole così severe è una risposta alle frasi in libertà pronunciate 24 ore prima dal presidente del Senato Ignazio La Russa sul giornalista della Stampa picchiato da militanti di Casapound («condanna», però «l’aggredito non si è dichiarato»), ma è anche una replica affilata a quella richiesta di un suo intervento contro «le infiltrazioni» dei giornalisti «nelle riunioni dei partiti politici» avanzata dalla premier Giorgia Meloni dopo l’inchiesta di Fanpage su Gioventù nazionale, la giovanile di Fdi.

Del resto non certo a caso Sergio Mattarella sottolinea che tra le funzione costituzionali che la Carta assegna ai giornalisti c’è «la documentazione di quel che avviene, senza obbligo di sconti», il far luce «su fatti sin lì trascurati».
È probabile che, come segnalano le fonti del Colle, la prolusione sulla libertà d’informazione ci sarebbe stata anche senza i fatti degli ultimi giorni, nel solco di quella sulla democrazia di alcune settimane fa. Il presidente della Repubblica si sarebbe comunque soffermato sul ruolo essenziale della libera informazione nelle democrazie e sulla necessità di «una nuova legge organica» adeguata ai tempi, in grado cioè di misurarsi con la «evoluzione tecnologica che ha mutato radicalmente diffusione e fruizione delle notizie».

QUEST’ULTIMA ESIGENZA Mattarella la ha sottolineata quasi nel dettaglio prendendo di mira i tycoon dei nuovi media che si comportano come se «occupassero uno spazio meta-territoriale che li rende capaci di intercettare opportunità economiche senza considerare che anche per essi valgono i princìpi di convivenza civile propri agli Stati e alla comunità internazionale da cui traggono benefici».

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Ma certamente Mattarella ha rivisto e reso più acuminati alcuni passaggi date le circostanze, come il riferimento preciso all’aggressione subìta a Torino da Andrea Joly: «Si vanno infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni contro giornalisti che documentano fatti. Ma l’informazione è esattamente questo». Il discorso in perfetta sincronia con il report europeo che documenta l’arretramento della libertà di stampa in Italia è davvero solo una coincidenza. Ma di quelle sin troppo eloquenti.

ALTRETTANTO ELOQUENTE è il mutismo con cui la maggioranza ha accolto la staffilata. Si è fatto sentire solo il Fratello Mollicone, presidente della commissione Editoria della Camera, per plaudire alla richiesta di riforma avanzata dal presidente. Tutto il resto deve essergli sfuggito. La premier Giorgia Meloni, che aveva cercato di ricucire i rapporti il giorno prima con gli auguri telefonici al presidente per il compleanno, se la prende in privato con l’incontinenza di Ignazio La Russa. Ma nel mirino di Mattarella c’era anche e forse soprattutto chi lo aveva chiamato in causa per censurare Fanpage, cioè lei stessa.

Quel che alla maggioranza non potrà sfuggire è il monito, anche questo di inusuale durezza, su due capitoli che riguardano direttamente l’azione, o meglio l’inazione del governo e della maggioranza: la mancata elezione del quindicesimo giudice della Corte costituzionale e le carceri. Arrivano dopo una discorso a tutto campo, dalla guerra in Ucraina, con riferimenti precisi alla resa di Monaco nel 1938, all’odio politico che arma la mano degli attentatori sino all’antisemitismo, senza risparmiare una poco velato richiamo allo sgangherato tifo pro Trump del vicepremier leghista Matteo Salvini. Sono due passaggi per Mattarella importantissimi.

Il ritardo nell’elezione del giudice è «un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento» al quale il guardiano della Carta esige che si metta riparo al più presto. Il parlamento temporeggia perché aspetta di nominare anche altri giudici, secondo la logica del pacchetto. Ma questo, per Mattarella, equivale a mancare di ogni senso delle istituzioni e lo dice più chiaramente di come non si può. Le nomine devono essere individuali e per merito, non di gruppo e per spartizione.

SULLE CARCERI il presidente della Repubblica usa parole più forti di quanto abbia mai fatto: «Descrizione straziante», «Condizioni angosciose per chiunque abbia sensibilità e coscienza». Indica una strada precisa: «In molti casi è possibile un diverso modello carcerario. È un dovere perseguirlo. Ovunque, subito». Però non sarà ascoltato. La soluzione del problema, per questa destra, va nella direzione opposta: più galere.