La guerra è cominciata sotto i nostri occhi, nel mischiarsi delle note d’agenzia, delle voci dei corrispondenti e dei fragori delle bombe su Baghdad, alle immagini dei bombardieri e dei caccia ieri in manovra e alle simulazioni del grandinare di aerei e missili sull’Iraq.

Tutto stiamo vedendo, salvo il volto delle prime vittime e dei primi sganciatori di morte. E tutto viene sfacciatamente detto, compreso che la guerra costerà meno di quanto sarebbe costato l’embargo, in dollari s’intende. In vite – quelle occidentali, le sole che contano – per gli Stati uniti sarebbero «ragionevoli» 4.900 perdite. Sempre che la guerra sia lampo, cioè se Baghdad e le zone nevralgiche dell’Iraq siano distrutte in pochi giorni.

Di fronte alla potenza distruttiva dei mezzi militari quella manipolatrice delle tecnologie dell’informazione in tempo reale gestite dai network americani, è ridicolmente esile la nostra voce, ostinatamente ragionante. Ma torniamo a dire che questa è una guerra ignobile, condotta dalle grandi potenze che governano le Nazioni unite per ordinare sotto il loro dominio l’accesso al mercato del petrolio. E lo chiamano difesa del diritto internazionale.

Noi diciamo che questa guerra è contro le popolazioni arabe, palestinesi, israeliane nella zona, prese in mezzo e scagliate le une contro le altre: hanno aperto la serie Abu Yiad e il suo compagno, simbolo dei senza terra, della ingiustizia di mezzo secolo. Pensiamo con disperazione ai palestinesi e anche alle genti semplici di Israele, e a quella massa di diseredati derubati dai nostri e loro governi che sono la nazione araba.

Noi diciamo che il fatto che la prima azione decisa delle Nazioni unite sia una guerra coloniale liquida quel poco di speranza che dopo la seconda guerra mondiale fu messa in un foro delle nazioni, solennemente impegnate a non riprendere le armi.

Noi diciamo che questa guerra non sarà vinta da nessuno di coloro che oggi l’hanno voluta e la conducono. Non è il cinismo, è la stupidità dei calcoli che ci sconvolge: fu forse vinta la guerra dei sei giorni? Questa di oggi è la sua seconda puntata. Non sarà vinta né in sei giorni né in sei mesi o anni. Non dall’Iraq – e come potrebbe? Non dagli Stati uniti e i loro subalterni.

Raccolti i morti e calcolate le rovine, avremo contro l’occidente tutto il mondo arabo, tutti i paesi terzi. E in Israele e nei palestinesi rinnoveremo i fantasmi delle nostre secolari ingiustizie. Noi che scriviamo non ne vedremo la fine.

Disertate da questa stupida e feroce avventura. Lo diciamo ai giovani sotto le armi, agli ufficiali, ai generali se questi mesi li hanno fatti riflettere. Non sparate. Disertino ogni alleanza con questo governo coloro che si dicono in qualche misura socialisti e hanno creduto alla pace. Disertate l’informazione guerrafondaia, i vecchi e nuovi «microfono e moschetto» che ci tempestano dalle antenne e dalle testate, invitandoci a pagare la quota di morti e ammazzati che occorre per entrare nel club del governo mondiale.

Disertate contro questi stati, queste categorie del potere, questi governi, questa idea dei rapporti fra le genti. Disertate da questa idea di diritto e democrazia. Noi abbiamo disertato fin da principio e dovranno sequestrarci per non farci parlare.