Maria Lai, la tattilità del cosmo
A Ulassai, Nuoro, "Maria Lai. Fame d'infinito", a cura di Davide Mariani Un nuovo allestimento, fra tematico e cronologico, del museo dedicato all'artista nella ex-stazione ferroviaria mette in evidenza tutta l’utopia comunitaria, e aperta agli spazi infiniti, del suo operare: basato sulla tradizione del cucito sardo
A Ulassai, Nuoro, "Maria Lai. Fame d'infinito", a cura di Davide Mariani Un nuovo allestimento, fra tematico e cronologico, del museo dedicato all'artista nella ex-stazione ferroviaria mette in evidenza tutta l’utopia comunitaria, e aperta agli spazi infiniti, del suo operare: basato sulla tradizione del cucito sardo
Maria Lai Fame d’infinito è il titolo del nuovo allestimento della collezione permanente della Stazione dell’Arte, museo dedicato a Maria Lai, fondato nel 2006 all’interno dell’ex stazione ferroviaria di Jerzu a Ulassai (Nuoro), dove l’artista nacque nel 1919. Curato dal direttore Davide Mariani, il nuovo allestimento restituisce, tra il cronologico e il tematico, l’intero percorso di Maria Lai attraverso le opere più significative da lei donate al museo.
Percependo fin da bambina una vocazione artistica, nel 1939 si trasferì a Roma dove frequentò il Liceo Artistico, per poi approdare a Venezia dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti. Dal 1945 tornò a vivere a Ulassai, ma dal 1954 si trasferì nuovamente a Roma, dove nel 1957 tenne la sua prima mostra personale di disegni a matita alla galleria L’Obelisco. Nei successivi dieci anni si avvicinò al mondo dei poeti e degli scrittori e, grazie a molte letture, scoprì l’importanza del mito e delle tradizioni della sua Sardegna, anche in termini di ispirazione creativa.
Di qui la svolta verso la metà degli anni sessanta: a differenza degli artisti che in quel periodo sperimentavano i nuovi media industriali, Maria Lai vide nel passato locale (materiali, tecniche, storie della tradizione sarda) una metafora per indagare il futuro universale. Innanzitutto, postulò l’autonomia della linea riconducendola alla sua etimologia, ovvero «filo di lino», e dunque alla tradizione sarda del cucito: da quel momento, nel suo lavoro non fu più il segno della matita a dare origine alla linea, bensì fu il filo di tessuto a reificarla, dandole corpo e traducendo il disegno in materia. Così, in seguito, giunse alla destrutturazione del telaio, così come ai libri e ai teli cuciti dove la stoffa è concepita sia come materiale dalle tattilità differenti in base ai grani e al tipo di tessuto, sia come finestra aperta verso uno spazio al di là, cosmico, infinito, ma comunque tattile.
L’importanza conferita da Maria Lai alle tradizioni popolari, nonché alla figura dell’artigiano che ne è veicolo, rivela come il fine ultimo del suo lavoro sia sempre stato l’aprire l’arte alle persone comuni. Consapevole che il bambino conosce il mondo e impara a parlare giocando, l’artista sarda ha scelto il gioco come strumento per far conoscere l’arte agli individui e per indurli a imparare il suo linguaggio. «Il gioco è l’arte dei bambini l’arte è il gioco degli adulti», reca scritto Il Muro del groviglio (2004), una delle opere pubbliche da lei realizzate a Ulassai a partire dal 1981, anno in cui, grazie alla partecipazione degli abitanti del paese, realizzò anche Legarsi alla montagna, legando con un lungo nastro celeste tutte le case e le montagne circostanti.
Sul territorio di Ulassai a questo intervento ne seguirono altri, tra cui Telaio-soffitto (1982) nel vecchio lavatoio, la grande lavagna L’arte ci prende per mano (2003), vicino alla scuola, Il gioco del volo dell’oca (2003) nella piazza. Si aggiunsero poi interventi affidati ad altri artisti, come Costantino Nivola, Luigi Veronesi, Guido Strazza. La conseguente trasformazione di Ulassai in un museo a cielo aperto conferma la vocazione primaria del lavoro di Maria Lai ad aprirsi alla partecipazione collettiva: le sue opere, prima di parlare di arte, parlano di comunità dando voce all’immaginario di quest’ultima.
È proprio per allinearsi a questo desiderio di comunità, nel senso più ampio del termine, che il nuovo allestimento del museo di Ulassai è pensato anche per il pubblico non vedente e ipovedente. Include pertanto riproduzioni tattili delle opere in mostra e un archivio multimediale interattivo dove sono fruibili sia le interviste di Maria, sia i documentari del regista Francesco Casu, sia gli interventi pubblici realizzati a Ulassai nel corso degli anni.
Il museo si propone inoltre di sviluppare una programmazione anche negli altri edifici dell’ex stazione ferroviaria e di creare un laboratorio permanente di educazione alla lettura, coinvolgendo i bambini e i giovani grazie all’uso dei nuovi mezzi tecnologici e interattivi. Per Maria Lai, infatti, da un lato l’arte rivendica la sua funzione sociale interagendo con la comunità, dall’altro le fiabe e il gioco sono strumenti per sollecitare le potenzialità educative dell’arte stessa: «Chiunque io cerchi di sollecitare a un dialogo sull’arte si annoia, soltanto se è in forma di gioco, anche se impegnativo, mi ascolta».
Scomparsa nel 2013, oggi Maria Lai ha acquisito un riconoscimento internazionale, ma già nel 1982 Filiberto Menna ne evidenziò la centralità scrivendo,a proposito di Legarsi alla montagna: «Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì».
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