Visioni

Margot, la gentildonna che filtrava la realtà

Margot, la gentildonna che filtrava la realtàMargot e il 'piccolo' Andrea – foto dall'archivio di Andrea Liberovici

Incontri Dalle canzoni alle regie d’opera e del Gran teatrino di marionette, esce un libro sulla voce dei Cantacronache curato dal figlio Andrea Liberovici. «Di mia madre ricordo il suo sense of humor. Quando abitavamo a Venezia con Giovanni Morelli, il canto e la rappresentazione erano il nostro lessico famigliare»

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 16 settembre 2018

Scriveva Cesare De Michelis qualche anno fa per Vespero vermiglio / 16 poeti messi in musica da Margot: «ad ascoltare Margot si starebbe per ore, cullati dalla sua voce, al tempo stesso luminosa e sommessa, che accende la curiosità e l’intelligenza e ravvia la memoria». Sembra, ed è, il rovescio esatto di questi tempi fatti di annunci stentorei, pericolosi e vacui, fatti per spianare le coscienze critiche, e rendere tutti un po’ meno consapevoli della storia. Margot, nella vita di tutti i giorni Margherita Galante Garrone, in quel disco ha fatto in tempo a mettere in musica tanti poeti, fra cui Edoardo Sanguineti. Ecco, quest’ultimo nome è da avere ben chiaro, perché il sommo dantista, poeta e uomo di sinistra Edoardo Sanguineti è stato anche, a lungo, fianco a fianco nelle avventure teatrali del figlio di Margot, Andrea Liberovici, oggi regista e autore. Esce ora per Marsilio un libro bello e ironicamente spiazzante fin dal titolo, La detestata sogliola, vita e opinioni di una gentildonna. Prefazione di Lello voce, uno dei maestri della «spoken poetry» in Italia, con una scelta succosa dai diari personali di Margot curata da Andrea. È un testo che ammalia e ipnotizza, un divagare continuo e rapsodico che tiene assieme racconti surreali e frammenti di vita sbalzati dalla realtà, quando Margot divideva le sue giornate alla Giudecca veneziana con miriadi di gatti affettuosi (debitamente omaggiati con alberi genealogici e fantastici disegni minimali inseriti nel testo), e con il secondo marito Giovanni Morelli, musicologo insigne, e campione di un’elegante flânerie che coniugava riflessioni altissime e perenni espradillas sbrindellate ai piedi. Andrea Liberovici, è oggi, si diceva, un regista teatrale affermato. È cresciuto con Margot e Giovanni, e quell’atmosfera un po’ incantata che si respira nelle pagine l’ha vissuta tutta: «Margot aveva questo grande dono di riuscire a guardare e raccontare la realtà da moltissimi punti diversi attraverso vari strumenti. La sua ’scrittura’ , dalle canzoni alle regie d’opera o del suo Gran Teatrino di marionette, fino a questo libro, non credo fosse surreale ma in 3d. Vale a dire riusciva a mettere in scena, spesso come sorta di ’filtro’, l’inconscio. Un inconscio ’lavorato’ e talmente «reale» da diventare oggetto, movimento, suono, luce. Questo sguardo articolato era anche parte imprescindibile della sua vita. L’inconscio come nostro personale e inimitabile interlocutore per interpretare la realtà. Sanguineti mi diceva spesso: l’inconscio lavora sempre,e aveva ragione».

Il tuo rapporto con lei, in poche parole?
Per un lunghissimo periodo intorno alla mia adolescenza ci scambiavano per fratello e sorella e questa cosa faceva piacere ad entrambi. Poi da un certo punto in poi lei è continuata ad esser sempre straordinariamente «giovanissima» e io ho cominciato ad invecchiare per cui uno dei temi ricorrente negli ultimi anni era: «fatti la barba che sembro vecchia». Un aspetto che amo ricordare è che è stata la persona della mia vita con cui ho riso di più. Il suo sense of humor era così sovrapponibile al mio che ci bastava un’occhiata per innescare quel tipo di risata ingestibile e debordante da ragazzini incontenibili che devo dire mi manca moltissimo. Cantavamo spesso insieme e suonavamo, quando vivevo a Venezia con lei e Giovanni, in trio. Margot il violoncello, Giovanni il pianoforte e io il violino e poi crescendo la viola. Il canto e la rappresentazione erano il nostro ’lessico famigliare’. Ci si parlava attraverso le arti.

foto dall’archivio di Andrea Liberovici

Cosa pensava Margot dei tuoi lavori teatrali e del tuo rapporto col mondo dello spettacolo?

Mi ha sempre seguito dai primissimi lavori alle ultime rappresentazioni incoraggiandomi moltissimo e credo, da quello che mi dicevano gli amici comuni , fosse molto orgogliosa del mio percorso.

Che ne sarà ora del Gran Teatrino la Fede delle Femmine di Margot?

La volontà da parte delle altre ’femmine’ c’è ed è molto forte, in primis in Margherita Beato, che ha collaborato con Margot insieme a Paola Pilla, anche lei purtroppo scomparsa l’anno scorso, in modo continuativo per più di vent’anni, di fatto la memoria storica. Certo è che abbiamo in eredità centinaia di meravigliose marionette in legno con i personaggi più singolari, Proust, Gertrude Stein, Stravinsky, centinaia di oggetti scenici, fondali ecc. per non parlare del repertorio, circa 30 spettacoli la gran parte con memoria video e quindi, abbastanza facilmente, replicabili. La difficoltà è trovare oggi, uno spazio che possa ospitare sia questo patrimonio, sia le rimesse in scena degli spettacoli. Ci sono un paio di Istituzioni che si sono fatte avanti.

Ti capita di pensare qualcosa che sai essere dono o ispirazione di Margot?

Per il mio lavoro si stanno aprendo molte opportunità negli Usa per l’anno prossimo, fra cui un workshop che terrò sulla mia ’«visione» acustico-visiva per un paio di mesi alla Northwestern University di Chicago. Io vengo da Margot, da mio padre Sergio Liberovici e da Giovanni Morelli con cui ho vissuto, insieme a mia mamma, da quando avevo due anni alla maggiore età. Tutti queste magnifiche persone e artisti, ora che non ci sono più, li sento come non mai parti di me. L’unica vera ansia è esserne all’altezza ma l’ansia, come sappiamo, può anche essere un grandissimo stimolo per continuare a crescere.

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