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Marcos Vinicius, sei corde per la libertà

Marcos Vinicius, sei corde per la libertàMarco Vinicius in una recente tappa romana – Marco Cinque

Storie Il brasiliano Marcos Vinicius è tra i più quotati virtuosi al mondo di chitarra classica, da sempre impegnato sul fronte dei diritti umani e delle cause ambientali

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 9 gennaio 2014

«Tornando da scuola facevo sempre lo stesso tragitto per dirigermi a casa – racconta Marcos Vinicius – ma un giorno mia madre, non vedendomi arrivare alla solita ora, preoccupata per il mio ritardo uscì per cercarmi e, finalmente, mi trovò come ipnotizzato davanti a una vetrina dove c’era una chitarra appesa al muro. Il proprietario del negozio disse a mia mamma che ero lì, con gli occhi sbarrati su quello strumento, da ormai più di un’ora e aggiunse: ’Signora, è come se suo figlio avesse scoperto qualcosa di davvero prezioso’. In quel momento mia madre, rendendosi conto di quanta attrazione suscitasse in me, pur se con difficoltà, mi regalò la mia prima chitarra».

Quel giorno, il chitarrista brasiliano di Belo Horizonte aveva solo otto anni, ma oggi calca i palcoscenici più prestigiosi di tutto il mondo (dal Wigmore Hall di Londra al Cemal Resit Rey Concert Hall di Istanbul) ed è riconosciuto tra i più quotati interpreti della chitarra classica a livello internazionale. Oltre alla nutrita attività concertistica, Vinicius è impegnato anche in trascrizioni e revisioni di opere per chitarra classica, che hanno contribuito alla nascita della «Marcos Vinicius Guitar Collection», cioè una collezione realizzata per valorizzare quel vasto repertorio chitarristico ricchissimo ma, spesso, ancora inesplorato.

Una delle tappe più ricorrenti del musicista brasiliano è la Cina, con cui ormai ha instaurato una collaborazione decennale di concerti, seminari e incontri con gli studenti delle scuole di musica del paese asiatico.

Oltre che verso la musica, Marcos Vinicius ha una sensibilità speciale per i diritti umani e ambientali ed è impegnato in iniziative ed eventi di concerto con diverse istituzioni ed anche con molte scuole. Memorabile il concerto che tenne qualche anno addietro in un liceo romano, dedicato alla causa di due prigionieri Nativi d’America rinchiusi nel Braccio della morte californiano di San Quentin. Il suo modo di interagire con ragazze e ragazzi rivela chiaramente un grande spessore umano, prima ancora che di artista: «Suonare la chitarra è facile – diceva agli studenti in ascolto – difficile è suonarla bene. Per questo, anche adesso che sono un musicista affermato, continuo a studiare molto più di quando ero agli esordi, perché solo se ci si prende cura di qualcosa, che sia una chitarra o altro, ci si può aspettare di veder contraccambiato e premiato il proprio impegno».

L’approccio di Vinicius con la musica è ben lontano dalla necessità esibizionista ed autoreferenziale che purtroppo contagia molti artisti; per lui invece la chitarra è uno strumento attraverso cui seminare, costruire ponti, stabilire relazioni. E se può mettersi al servizio di qualche causa nobile lo fa, gratuitamente e senza indugio, e senza pericolosi pregiudizi ideologici, politici o religiosi.

Naturalmente sa benissimo che la musica non riempie la pancia della gente povera, ed è ben conscio che persino le persone più umili e nelle condizioni più difficili hanno il sacrosanto diritto di nutrire il proprio spirito di arte, cultura e bellezza. Recentemente Vinicius ha persino espresso il desiderio di poter entrare nelle carceri italiane, per dedicare dei concerti ai detenuti e alle detenute, in un progetto che potrebbe realizzarsi a partire dal prossimo anno.

Perché senti la necessità di entrare nel disastrato mondo carcerario italiano e cosa pensi di lasciare, ma anche di portare da questa esperienza?

Non ritengo che il talento che ho sia soltanto un modo per alimentare il mio ego, non lo permetterei mai a me stesso. Dalle esperienze precedenti ho potuto ricavare un’intensa gioia nel poter dare agli altri momenti di profondità e al contempo di leggerezza spirituale, facendo sì che, per un attimo, potessero dimenticare le sofferenze e aumentare cosi la loro speranza verso un mondo diverso e più giusto. Generalmente avere successo è molto bello, perché ciò spesso è frutto di un lavoro fatto con determinazione, passione e amore ma, può avere il suo vero senso solo se riesce ad essere condiviso con gli altri. In questo caso coi detenuti e le detenute.

Per il tuo impegno hai appena ricevuto il premio «The Gift of Humanity» 2013; è un riconoscimento che ti appaga oppure ti stimola a continuare, a andare oltre?

I premi e i riconoscimenti sono meravigliosi ma posso garantire che non mi appagano affatto. Ho sempre pensato che per ogni nuovo successo bisogna trovare il modo di andare avanti, cercando gli stimoli per continuare la strada che ci si è prefissata. Nel mio caso in particolare, gli stimoli ricavati dalle istanze sui diritti umani sono una spinta necessaria per continuare il mio percorso come artista ma, soprattutto, come essere umano.

Oltre alla tua attività di musicista e compositore sei molto impegnato in seminari e incontri nelle scuole. Perché e che ruolo hanno i giovani nella tua vita?

Sono stato un ragazzo anch’io, capisco le loro necessità e le grandi difficoltà in cui si trovano oggi. Di esempi positivi ne avrebbero tanti, ma sono nascosti dietro muri di ogni genere, a partire da quelli mediatici che propongono stereotipi e messaggi tanto negativi. Loro sono così fragili davanti a questo mondo e ciò mi rende triste perché è questo che purtroppo i giovani trovano. Oltre a essere una buona occasione per imparare sempre qualcosa da loro, quando sto assieme ai ragazzi preferisco mostrargli con semplicità il mondo reale piuttosto che quello virtuale, cui sono tanto abituati. Sì, i giovani hanno una grande importanza per me, sono come piantine che vorrei curare ogni giorno perché è soprattutto da essi che dipenderà il futuro. Inoltre, quando mi relaziono con loro, percepisco chiaramente che si porteranno sempre dentro ciò che gli trasmetto, perché hanno la sensibilità di capire quando le parole sono giuste e vere. Per quel poco che possa essere, per me è già tanto.

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