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Mappature di coppia

Mappature di coppiaNiki de Saint Phalle

Narrazioni / 7 Ritrovarsi a condividere il lockdown senza averlo preventivato significa considerare molte cose. Se ne uscirà mutati?

Pubblicato più di 4 anni fa

Il giorno in cui è iniziato il confinamento a Roma, il 9 marzo, ero con il mio compagno. Noi non viviamo insieme, né nella stessa città, molto spesso non condividiamo nemmeno lo stesso territorio nazionale, essendo lui spesso altrove, rispetto all’Italia e a noi. I primi giorni di marzo, però, era venuto a trovarmi di ritorno da Berlino: in previsione c’era quasi una settimana insieme prima che lui ripartisse. Invece, è rimasto, isolato con me nel mio appartamento.

Il senso dell’umorismo è stato il primo a visitarci: “hai visto” – mi ripeteva spesso lui sorridendo i primi giorni di quarantena – “volevi che trascorressimo più tempo insieme e adesso siamo addirittura confinati nella stessa casa, senza che io me ne possa andare”.

Poi, abbiamo condiviso le preoccupazioni per i nostri familiari: mio padre è un uomo di quasi 76 anni la cui qualità della vita si esprime nel caffè al bar la mattina e nel consueto tentativo quotidiano di riportare leghisti e pentastellati che siedono nei tavolini accanto al suo sulla retta via. Nel suo caso tale lodevole impresa si risolve sempre con accuse di ignoranza e inviti urlati a leggere almeno i quotidiani. La pandemia lo ha privato di ciò che lui considera il senso della vita: incontrare l’umanità ed istruirla. La regione Valle d’Aosta, dove abita, è stata a lungo sotto osservazione a causa della percentuale altissima di contagi per numero di abitanti: molti turisti dalle regioni più colpite vi si sono recati per viversi la quarantena tra i monti, con tutte le conseguenze del caso. I nostri vicini di casa di quando i e i miei fratelli eravamo ragazzi, coetanei dei miei genitori, sono morti di Covid 19 a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra.  Mia madre è asmatica, cardiopatica, simpatica: da lei ho ricevuto in queste lunghe settimane alcuni tra i video più divertenti tra quelli circolati su what’s app. La sua fede e la sua invincibile voglia di ridere sono state di sollievo in questo tempo.

I genitori di Daniel vivono all’estero, ma mentre la madre tedesca è una donna dall’energia roboante (abbiamo seguito online una volta la sua lezione di zumba e non le siamo stati dietro neanche per un centesimo di secondo in nessuno dei movimenti che componevano la coreografia), il padre è malato e vive a Cuba: il suo essere decisamente irraggiungibile è per Daniel fonte di angoscia costante.

L’altruismo però, si sa, dura poco, è fragile e bugiardo come ogni essere umano che si rispetti. Per questo, dopo la fase acuta della preoccupazione per gli altri, ci siamo presto concentrati su di noi. Per lui era fondamentale riuscire a mantenere una buona qualità della vita quotidiana: nessuna discussione, contenimento dell’umore e dei suoi possibili cambiamenti, conversazioni senza toni alterati. Io mi sono data, al solito, un obbiettivo: facciamo fruttare questo tempo di isolamento. E se non riesco a leggere molta letteratura, decifrerò ogni moto del mio animo, smonterò gli ingranaggi di questa relazione, uno a uno, per trovarmi finalmente libera dal giogo della coppia, quando questa quarantena sarà finita.

Ancora non mi spiego come io faccia a non calcolare mai l’imprevisto dei sentimenti, neanche quando sono in ballo solo quelli.

Da questi due atteggiamenti e desideri opposti: da parte sua l’ordine, il disfacimento dalla mia, sono conseguiti conflitti apocalittici. Giornate di angoscia nel petto, di discussioni nel cuore della notte, accuse di tradimento – le mie contro di lui – di follia – le sue contro di me. Si sono sempre risolte in un nulla di fatto: almeno due volte ci siamo detti che dovevamo lasciarci in queste settimane, ma molte di più abbiamo pensato che non avevamo via d’uscita. Uniti, per forza. E questo collante coatto ci ha anche salvati.

Daniel e io ci vogliamo bene e condividiamo una stessa visione del mondo, i valori come si diceva un tempo. Quel tempo in cui la coppia viveva in una condizione di quarantena di fatto: prima del divorzio, soprattutto prima che le donne avessero la possibilità di lasciare il proprio marito grazie a un reddito autonomo, anche il più felice dei matrimoni era un confinamento. E anche ora, che esiste spesso la libertà di lasciarsi, la coppia è comunque una forma di quarantena: la sua stessa essenza consiste in ciò che solo i suoi componenti condividono e che li isola, fosse anche solo della misura di un passo, dal resto del mondo. Gli innamorati, gli amanti, gli sposi che non si sopportano: tutti crediamo, spesso con poca coscienza, che l’Altr* sia anche un vaccino contro la solitudine, una protezione dall’incomprensione del mondo, un posto preferito: casa.

Adesso che l’isolamento sta volgendo al termine, che le analisi più ardite e lo scoramento profondo sono stati vissuti e contemplati, mi rendo conto che avrei dovuto capirlo fin dall’inizio: una quarantena non è una rivoluzione, perché non prevede per definizione nessuno spostamento. Avrei dovuto fin da subito osservare la mia relazione come ci si guarda i piedi quando si aspetta qualcuno a un appuntamento e si ha l’animo particolarmente sereno. Come quando abbiamo le scarpe nuove. Avrei visto ciò che ho sempre saputo esserci: due persone che sanno andare d’accordo, una coppia in pericolo.

Se c’è una cosa che ho condiviso infatti fin dall’inizio di questo isolamento coatto con l’Italia e il mondo fuori di casa è la speranza che questo tempo ci avrebbe aiutato a essere immuni. Come corpi e come io e lui insieme. Immuni dal contagio degli agenti esterni che scrivono messaggini pericolosi e invitanti, dalla dimenticanza che nasce quando tutto intorno è così interessante e molteplice che il nostro +1 non sembra abbastanza.

Di certo in queste settimane non abbiamo potuto fare passi avanti, né reali né metaforici, ma tante scale immaginarie, sopra e sotto la linea del nostro equilibrio, personale e di coppia. Solo la libertà, di movimento e di sceglierci, potrà eventualmente dimostrarci che siamo salvi.

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