Manovra, a un passo dalla resa. Di Maio prova a resistere
Alleati divisi La Ue chiede il 2% di deficit. Salvini pronto a cedere rimodulando Quota 100. Il pentastellato: «Trattare senza tradire gli italiani». La presentazione degli emendamenti del governo rinviata di nuovo
Alleati divisi La Ue chiede il 2% di deficit. Salvini pronto a cedere rimodulando Quota 100. Il pentastellato: «Trattare senza tradire gli italiani». La presentazione degli emendamenti del governo rinviata di nuovo
Mentre a Montecitorio la presentazione degli emendamenti del governo alla legge di bilancio, prevista per le 19 di ieri, slitta ancora fino a un’imprecisata ora della notte, la capitolazione dell’Italia alla Ue sembra a un passo. In termini di deficit e «numerini» si tradurrebbe in 2%, un decimale in meno di quanto si sarebbe potuto ottenere da Bruxelles, senza sforzo e senza conflitti, prima del Def.
UFFICIALMENTE DI SALDI non parla in realtà nessuno. Il premier Giuseppe Conte, a Buenos Aires, ha visto il presidente della Commissione Juncker in una riunione a quattro con Tria e Moscovici ma giura che di quel particolare non si è fatto cenno. In compenso sprizza ottimismo, giura che tutti sono d’accordo per «assecondare la crescita italiana», prefigura nuovi incontri con Juncker, e frena sul passaggio della manovra con la fiducia: «E’ l’ultima ratio». Sarà anche così, ma con i tempi stretti e la marcia a passo di lumaca a cui si assiste da giorni a quell’extrema ratio il governo dovrà ricorrere.
A rallentare tutto contribuisce in misura essenziale l’incertezza sulla trattativa, o più precisamente sulla resa dell’Italia. Per eliminare i 4 decimali di deficit di troppo ci vogliono 7 miliardi: 1,5 dovrebbero arrivare dalla «revisione dei conti» su quota 100 e 3,5 dal reddito di cittadinanza. Il resto da tagli vari. Il passo è doloroso, tanto più che la frenata dell’economia superiore al previsto richiederebbe casomai un aumento del deficit da usare per misure anticicliche, cioè per gli investimenti. Ma per come si sono messe le cose nei rapporti con la Ue non se ne può nemmeno parlare e l’unica reazione possibile all’allarme rosso fatto risuonare ieri dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, «Potremmo tornare in crisi: i dati indicano una decrescita tutt’altro che felice», sembra essere proprio la riappacificazione con l’Europa.
MATTEO SALVINI, CHE IERI non a caso è rimasto silenzioso come gli capita di rado, sembrerebbe convinto. Luigi Di Maio no. «Trattativa ma senza tradire gli italiani e sul reddito non cambia niente», ha ripetuto ieri il vicepremier pentastellato. In privato dicono che sia anche più esplicito: «Verrei massacrato all’interno del Movimento, tanto più in un momento come questo, quando sono sotto attacco». In effetti all’Europa non basterebbe il gioco di prestigio sulla data dell’entrata in vigore del reddito. Lo slittamento dei tempi fino a giugno garantirebbe il risparmio per il 2019 ma non per gli anni successivi. In concreto andrebbe salassato l’assegno, prosciugandolo sino a 500 euro per famiglia. Un sacrificio che il leader dei 5S considera troppo pesante oltre che rischioso per la sua posizione all’interno del Movimento.
IN REALTÀ L’OBIETTIVO principale della commissione, della Bce e dell’Fmi non è il reddito. La richiesta è di rivederlo e rimodularlo ma senza sacrificarlo: le proiezioni confermano che, con la clausola che impone di spendere tutto entro il mese, avrebbe un effetto positivo sul Pil, 2 decimali in più secondo i più pessimisti, addirittura 4 secondo gli ottimisti. La vera «bestia nera» è quota 100 ma su quel fronte tutti si rendono conto di dover procedere con cautela. In questo momento, tra i soci della maggioranza, è Salvini quello considerato più affidabile e non ce lo si può inimicare chiedendo l’impossibile. La formula trovata per ora, quella di limitare quota 100 a un triennio per richiudere la finestra una volta conquistata «quota 41», cioè la pensione per tutti con 41 anni di contributi, sembra soprattutto un espediente per rivedere poi la faccenda. La formula permette a Salvini di giocare sull’ambiguità sottolineando, come ha già fatto, che la manovra riguarda solo i prossimi tre anni, come è ovvio, lasciandosi così aperte tutte le porte e soprattutto senza dover fare quel passo indietro ufficiale che viene invece chiesto a Di Maio. Con il quale viene speso un argomento solo: puntare i piedi oggi vorrebbe dire fare lo stesso errore commesso quando non venne accettato il deficit al 2,1%. Il conto, domani, sarebbe più salato.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento